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 2020  luglio 07 Martedì calendario

A lezione di linguaggio da Lucrezio e Seneca

Tra i maggiori latinisti italiani, una vita dedicata allo studio e all’insegnamento, ma anche alla politica nella sua città di adozione, Bologna, di cui è stato prima consigliere comunale e, più recentemente, rettore della sua prestigiosa Università, Ivano Dionigi nel suo ultimo libro Parole che allungano la vita, pubblicato da Raffaello Cortina, ci spinge a prendere sul serio le parole. La filologia non è infatti una arte polverosa e antiquata ma una vera e propria filosofia. «Noi parliamo male», constata Dionigi, perché il nostro tempo ha ridotto le parole ad un «linguaggio disossato e artificiale». Avremmo bisogno invece, continua il suo ragionamento, di «un’ecologia linguistica» capace di mostrare innanzitutto che le parole non sono aria – flatus vocis – ma possono colpire, ardere, salvare o uccidere.
La parola ha un potere «splendido» e «tremendo» (deinòn), come, non a caso, la tragedia greca descrive l’essere umano. L’uomo ha, dunque, il potere di usare le parole in modi diversi: per unire, consolare, liberare, umanizzare la vita ma anche, quando cade nella bocca dei demagoghi e dei corrotti, per dividere, calunniare, deridere, ingannare. Né è un esempio, tra i tanti che il libro fornisce, la parola maestro, magister, che qualifica colui che ha un ruolo superiore (magis), contrapposto alla parola ministro (minister) che indica colui che ha un ruolo inferiore (minus). Il misconoscimento di questa radice linguistica consente una delle tante storpiature del nostro tempo che celebra il potere politico del Ministro declassando la figura del Maestro.
La parola porta con sé il «dia-logo come nostro destino», scrive Dionigi, perché l’uomo non è nulla se non iscritto nella vita di una comunità plurale. Solo gli dei o le bestie vivono separati dagli altri. Per questo «la Pentecoste è l’alternativa a Babele». Se il sogno delirante dei babelici – comune a quello di tutti i fondamentalismi – sarebbe quello di istituire una sola lingua «dominatrice e imperialistica», la Pentecoste esalta la pluralità irriducibile delle lingue. Sapere la radice delle parole non è dunque un esercizio di mera erudizione ma un atto di profonda conoscenza. Se infatti dovessimo riassumere l’impegno intellettuale di Dionigi e l’intera sua opera potremmo evocare il suo sforzo ininterrotto di mostrare che i classici – latini e greci – non sono un passato inerte depositato alle nostre spalle, ma una lezione permanente che non cessa di illuminare il nostro avvenire. Non a caso classico è, come lo definisce Osip Mandel’stam, grande critico dantesco, «ciò che ancora ha da essere».
Ma bisogna – come l’alta parola didattica di Dionigi è in grado di mostrare – sapere leggere i classici per ereditare creativamente quello che ci hanno tramandato. Non si può non ricordare in questo contesto l’importanza di due grandi classici non solo in questo libro, ma in tutto l’itinerario di Dionigi studioso, quali sono Lucrezio e Seneca. Sono le due anime che riflettono la doppia passione dell’autore: l’anima cosmologica, iconoclasta, materialistica radicale di Lucrezio e quella più riflessiva, meditativa, spirituale di Seneca. Sentimento dell’universale e sentimento del particolare, attenzione alle leggi inumane della Natura e scavo interiore, viaggio nell’abisso di se stessi. Sono i due volti fondamentali che definiscono l’uomo e l’intellettuale Dionigi ai quali però dovremmo subito aggiungere la figura di Agostino per come essa introduce una nuova visione della liberazione che non coincide né con l’epicureismo senza speranza di Lucrezio, né con la saggezza dello stoicismo di Seneca, ma col simbolo evangelico della croce come liberazione dell’uomo dall’ombra spessa della morte. Sono queste le tensioni che attraversano questo lucido e combattivo pamphlet: da una parte la presenza assidua del sentimento della nostra finitudine, del nostro essere mortali e dall’altra quella, altrettanto significativa, della politica, della solidarietà umana, della cura per la vita della polis, per l’insegnamento e l’educazione.
Contro ogni demagogia populista e contro ogni illusione tecnocratica la scommessa più alta cade sempre, non a caso, per Dionigi, sulla Scuola perché, come scrive, è a partire da essa che si gioca tutto il nostro futuro.