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 2020  luglio 07 Martedì calendario

Chi c’è dietro la montagna di debito

Il mondo siede su una montagna di debiti. Per l’esattezza 255mila miliardi di dollari, pari al 322% di tutta la ricchezza prodotta annualmente a livello planetario. Lo certifica l’Institute of International Finance, l’associazione delle società finanziarie globali, non senza qualche segno di preoccupazione considerato che dal 2008 al 2019, il debito globale è salito di 40 punti percentuale, ossia 87mila miliardi di dollari. Nel solo 2019 è cresciuto di altri 10mila miliardi e mette i brividi pensare di quanto crescerà nel 2020, viste e considerate le misure eccezionali assunte dai governi per tamponare i danni economici provocati dalla pandemia di coronavirus. V errebbe fatto di pensare che siano i più poveri a indebitarsi di più, invece il 71% del debito globale è a carico dei Paesi a economia avanzata: America del Nord, Europa, Giappone, tanto per intenderci. Se volessimo fare un confronto in rapporto alla popolazione, scopriremmo che su ogni abitante dei Paesi più ricchi grava un debito di 90mila dollari, su quelli dei Paesi emergenti “solo” di 13mila dollari, sette volte di meno. Ovviamente si tratta di un puro esercizio teorico, perché se andiamo a vedere la reale distribuzione del debito a livello globale troviamo che solo il 19% è debito contratto dalle famiglie, il resto è diviso fra governi (27%) e – il grosso – imprese (54%). E nel nostro immaginario l’impresa è solo l’azienda che produce o tutt’al più che commercia, mentre sono imprese anche le banche, le assicurazioni, i fondi di investimento. In una parola tendiamo a dimenticare le imprese finanziarie che contribuiscono al 24% dell’indebitamento globale. Debito non di rado contratto per operazioni speculative, a volte così azzardate e mastodontiche, da inceppare l’intera macchina economica con enormi conseguenze sociali. La crisi del 2008 è una triste manifestazione e conferma di questa realtà. P arlando di debito, poi, abbiamo la tendenza a concentrarci solo sui debitori. Ma chi sono i creditori? Chi sono i facoltosi capaci di mettere sul piatto una ricchezza grande tre volte il prodotto lordo mondiale? Chi fa parte dei privilegiati capaci di arricchirsi in virtù di disposizioni giuridiche, più che per meriti economici? Trovare risposte a queste domande non è pura curiosità accademica, ma diritto e dovere politico. Serve a decifrare la mappa del potere perché attraverso il credito si possono condizionare perfino i governi. E serve a individuare le strutture che stanno al vertice di uno dei meccanismi che più contribuisce a rendere iniqua la distribuzione della ricchezza. Per cominciare conviene sottolineare che in rapporto all’intera massa debitoria mondiale, i crediti vantati dalle agenzie internazionali appaiono come gocce in mezzo all’oceano. Basti dire che l’insieme dei crediti riconducibili al Fondo Monetario Internazionale non arrivano ai 100 miliardi di dollari, mentre quelli vantati dalla Banca Mondiale si fermano a 350 miliardi. Se a essi aggiungiamo i prestiti concessi ai Paesi più poveri dal Club di Parigi, ossia dai ventidue Paesi più industrializzati, arriviamo a più o meno 800 miliardi di dollari, appena lo 0,3% dell’intera massa creditizia.
Seppur più consistente, perfino la quota delle Banche centrali risulta piuttosto modesta in rapporto al totale dei prestiti. Del resto è solo dopo la crisi del 2008 che le Banche centrali hanno deciso di scendere in campo massicciamente, in particolare acquistando quote di debito pubblico, col duplice scopo di proteggere i governi da operazioni speculative e di sostenere il ciclo economico iniettando nel sistema creditizio e finanziario potenti quantità di moneta. Come effetto di questa politica, meglio nota come quantitative easing, si stima che fra il 2009 e il 2019 le principali Banche centrali occidentali abbiano accresciuto il proprio portafoglio titoli di 15mila miliardi di dollari, la maggior parte dei quali sotto forma di titoli del debito pubblico. A oggi si stima che un quinto del debito pubblico mondiale, all’incirca 12 mila miliardi su 70mila, sia detenuto dalle Banche centrali. Ma in rapporto al debito mondiale complessivo, quello da rimborsare alle Banche centrali rappresenta appena il 5%. I l Financial Stability Board ci informa che la parte del leone la fa il sistema bancario tradizionale, da sempre specializzato nell’intermediazione fra chi risparmia e chi ha bisogno di denaro. Un tempo la lista delle banche mondiali si apriva con quelle americane, oggi invece è dominata da quattro banche cinesi che essendo di proprietà dello Stato sono utilizzate dal governo di Pechino per portare avanti i propri progetti di sviluppo, non solo quelli interni alla nazione, ma anche di tipo internazionale come la ’Nuova via della seta’, meglio nota come Belt and Road initiative. Si stima che per ottenere l’adesione alle proprie proposte di investimento da parte di 150 Paesi emergenti, la Cina abbia concesso prestiti per 1.500 miliardi, circa il doppio della cifra impegnata verso gli stessi destinatari da Banca Mondiale, Fmi e governi dei Paesi a economia avanzata, messi tutti assieme.
Fra le banche occidentali la più grande è la giapponese Mitsubishi Financial Group, seguita dall’americana JP Morgan e un po’ più avanti dalla francese Bnp Paribas. Tutte con disponibilità monetarie a dodici zeri. L’Industrial & Commercial Bank of China, posta in cima alla lista, gestisce 4 mila miliardi di dollari, il Credit Agricole che si colloca al 10° posto, ne gestisce 2mila. La conclusione è che i crediti detenuti dal sistema bancario mondiale ammontano complessivamente a 185 mila miliardi di dollari, il 72% dell’intera massa creditizia. Non senza stupore perché secondo l’Inter-national Center for Monetary and Banking Studies i depositi bancari aperti da famiglie e imprese non superano gli 80mila miliardi di dollari. Segno che le banche stesse ricorrono all’indebitamento per finanziare parte delle loro operazioni.
Detratto il credito vantato dalle Banche centrali e quello vantato dal sistema bancario tradizionale, rimane un altro 23% riconducibile al sistema finanziario non bancario, un vasto universo comprendente assicurazioni, fondi pensioni, fondi di investimento e altre entità finanziarie che in virtù del lavoro che svolgono, riescono a raccogliere molto denaro, talvolta in misura ben superiore al fabbisogno imposto dal servizio che devono rendere. E può succedere che invece di tenere il denaro inoperoso, lo utilizzino per guadagnarci anche per altre vie. Magari tramite operazioni immobiliari, operazioni di Borsa, e, perché no, anche concessione di prestiti, proprio come fanno le banche. Il che ha fatto guadagnare a queste entità l’appellativo di shadow banking, sistema bancario ombra. Si stima che la ricchezza totale impegnata dal sistema finanziario non bancario ammonti a 184mila miliardi di dollari, investito per il 45% in attività creditizie o paracreditizie. Il che crea non pochi problemi perché sulla scena c’è chi si comporta da banca, ma banca non è. L’aspetto più preoccupante è che chi svolge attività creditizia senza essere giuridicamente banca, sfugge agli obblighi e ai vincoli che solitamente le legislazioni impongono agli istituti bancari per impedire che imbocchino strade pericolose.
Giova ricordare che la crisi del 2008 si ebbe proprio per l’eccessiva crescita del sistema bancario ombra che infettò l’ambito creditizio con pratiche così distorte, rischiose e opache da fare traballare l’intero sistema bancario e finanziario e mettendo in ginocchio l’economia reale. Per evitare il ripetersi di un simile scenario, servirebbero regole condivise a livello internazionale, ma incredibilmente, al momento, non sembra un tema all’ordine del giorno.