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 2020  luglio 07 Martedì calendario

La sfilata virtuale di Dior

I miti di Dior, riassunti in 37 abiti miniaturizzati, viaggiano nel mondo racchiusi in sei bauli. E la couture della maison parigina diventa una pellicola d’autore. Presentata in questa edizione di alta moda post covid-19 solo sulla piattaforma online de La Federation de la Haute Couture et de la Mode che in tre giorni ospita i filmati di 33 griffe. Così comincia la nuova era fashion digitale. Introdotta da Naomi Campbell con un manifesto contro il razzismo che promuove l’inclusione tra popoli e culture, citando la filosofia di Mandela. 
Una favolaLa storia che il direttore artistico di Dior, Maria Grazia Chiuri, ha chiesto di girare a Matteo Garrone a Roma durante il lockdown è una fiaba surreale. «Il cinema secondo me era l’unico mezzo per raccontare l’alta moda e la sua artigianalità in modo alternativo, senza intaccarne la magia. Un progetto unico, riservato a questo momento difficile. Siamo partiti dall’idea del Théâtre de la Mode, mostra itinerante tra Europa e America delle creazioni dei sarti francesi che, nell’immediato dopoguerra, avevano raggiunto le loro clienti nei quattro angoli del globo. Immaginandolo, però, con gli occhi di oggi», spiega Chiuri in video conferenza. «Spesso ho pensato di sperimentare la formula cinematografica, adesso è arrivata l’occasione giusta». Quindi due realtà, che hanno molto in comune, si impastano per dar vita a una favola intitolata Le Mythe Dior. Dove si intersecano tanti riferimenti e suggestioni sospese nel tempo, da cogliere fra le pieghe della collezione invernale 2020-2021. «Garrone, che conosco da tanti anni anche se non abbiamo mai collaborato prima, non è solo un regista. Un affabulatore, un pittore figurativo affascinato dal corpo, dalla sua carnalità, dall’eros, dal desiderio. Tutti aspetti fondamentali anche nella moda. Insieme abbiamo lavorato benissimo e con immediatezza», dice Chiuri.
Soddisfatta del mezzo digitale? «Secondo me può sostenere la moda, ma ha dei limiti, soprattutto per la couture. Io ho una visione classica di questa importante tradizione. Gli abiti andrebbero visti da vicino per apprezzarne le lavorazioni. Ma si deve anche offrire un servizio e penso che questo nostro progetto, di inviare a domicilio i bauli, possa essere utile per le clienti. E la pellicola di Garrone serve a trasmettere anche la magia di un sogno». 
Atmosfere magicheIl film esplora in un quarto d’ora l’incanto dell’atelier popolato dalle sarte, mentre lavorano per realizzare gli abiti da sogno della couture che vengono indossati da manichini in scala, ridotti del 40% rispetto a quelli veri. Allineati, poi, in un grande baule che ha la forma della sede storica parigina di Dior, in Avenue Montaigne. Il baule è uno scrigno fatato capace di trasmettere energie speciali. Sullo schermo lo trasportano - in un bosco magico imboccando sentieri accidentati - due gemelli in uniforme da operetta. Fra ninfe e sirene vigilate dalla statua di Narciso e da un satiro. Metafore e metamorfosi per illustrare con mano leggera e ironica i miti della cultura occidentale. E ogni volta che i due valletti arrivano a destinazione e aprono il baule per rivelarne il contenuto, vengono accolti con stupore e meraviglia dagli abitanti del bosco. Felici di provare i capi seguendo il rito della misurazione sartoriale. Il tutto scandito dalle note del maestro Paolo Buonvino che completano l’atmosfera fiabesca.
La forza del surrealismo«Nella realtà esistono sei bauli con i modelli miniaturizzati che verranno spediti su appuntamento alle clienti in ogni Paese per poter valutare i vestiti anche con l’aiuto delle teline che avranno proporzioni umane», dice Chiuri, ispirata dallo stile di donne indipendenti e forti che hanno rappresentato la quinta essenza del surrealismo al femminile. Non solo muse, ma protagoniste del loro tempo. «Artiste del calibro di Lee Miller, Leonora Carrington, Dora Maar, Jacqueline Lamba e Dorothea Tanning che si conoscevano e si frequentavano prima e durante la guerra». 
Gli abiti in parte seguono i mutamenti della natura, sfumano nei rossi delle barriere coralline, vividi come nei dipinti della Carrington. Si increspano ricordando le onde del mare; ospitano slogan poetici; si modellano sui fianchi con infinite plissettature. Si trasformano e si sdoppiano in tenute pratiche e moderne. Tipo l’impermeabile trompe-l’oeil, stratificato a cipolla con un lungo gilet, che avrebbe potuto indossare la fotografa Lee Miller durante i suoi reportage nei campi di concentramento: quando, smessi i panni di modella, passò dall’altra parte dell’obiettivo per documentare gli orrori del nazismo. Oltre alle toilette da dea, ricamate, sono molti i capi dedicati all’uso quotidiano: tailleur che ridisegnano il busto con le giacche Bar, robe mateau e cappotti in cachemire intarsiato, abiti percorsi da infinite nervature. «Mai come in questa occasione ho apprezzato l’importanza di lavorare con gli atelier, connettendoci sul web da casa. In maniera estemporanea e complessa, ma sempre sostenuti da una gran voglia di fare. Ovviamente la pandemia ha dilatato i tempi, rendendo ogni step più lento. Alla fine, comunque, ce l’abbiamo fatta», confida Chiuri, contenta dei risultati.