Il Messaggero, 7 luglio 2020
Biografia di Musa Juwara
«Siamo noi quelli fortunati ad aver incrociato la sua strada». Avigliano, dodicimila anime in Basilicata. Il calcio? Più che un diversivo: si gonfia un pallone per soffiarci dentro anche un po’ di desideri. «Il desiderio di Musa è sempre stato il professionismo» racconta Bartolomeo Filadelfia, coordinatore tecnico della Virtus, squadra locale, cento tesserati: «Due nostri giovani l’avevano visto in un torneo estivo, lui era arrivato nel centro d’accoglienza di Ruoti a 10 km da qui e così abbiamo aperto le braccia a questo ragazzo che ne ha viste tante senza mai perdere il sorriso». Il ragazzo è Musa Juwara, 18enne del Gambia, ieri nell’Avigliano, oggi professionista nel Bologna e un treno dei desideri che l’ha appena portato al primo gol in A contro l’Inter.
Ora cliente della scuderia Pastorello (vedi Lukaku e Keita), la prima cartolina italiana di Juwara è una foto-segnalazione del 10 giugno 2016. Luogo, Messina. Sull’ong tedesca Fgs Frankfurt 536 migranti compreso lui, nato il 26 dicembre 2001, tra i 25mila minori non accompagnati giunti quell’anno da noi. La sua Africa è fame, zero prospettive e il punto fermo del nonno che l’ha cresciuto: «Prima lo studio». Dal barcone approdato in Sicilia alla struttura di Potenza, le vie del pallone portano a Vitantonio Summa, allenatore Virtus, e alla moglie, Loredana Bruno, avvocato. Due figli. Il terzo, idealmente, Musa. Di cui Loredana, ieri al telefono, spiegava: «È un ragazzo che rispetta e sa farsi rispettare, che preferisce si parli del calciatore più che del lato privato, che ci descrive Mihajlovic come una persona splendida. In Italia sta benissimo. Le radici non le rinnega e non vede l’ora, un giorno, di tornare in Africa». Dentro la cornice della famiglia affidataria quella del rettangolo verde: punta brevilinea, mancina e veloce. All’alba del Musa calciatore i provini con le grandi Inter e Juventus cederanno il passo al Chievo, allertato dal radar di un altro famoso Pastorello, Giambattista, papà dell’agente Federico. Ed è lì che arriva la burocrazia.
Muro contro cui rimbalza Musa, la revoca del tesseramento. Sia con i veronesi sia con il vecchio Avigliano. Poiché extracomunitario non accompagnato dai genitori naturali, la Figc si rifà alla norma Fifa che a scanso di reclutamenti senza scrupoli prevede che un minorenne non possa tesserarsi per una nuova società di un altro Paese senza madre e padre naturali al fianco. Morale: Vitantonio e Loredana firmano con l’avvocato vicentino Vittorio Rigo, esperto di diritto dello sport, il ricorso al tribunale di Potenza. La sentenza è del dicembre 2017: la norma va applicata con ragionevolezza, ossia solo quand’è necessaria una reale tutela del minore. Dice Loredana: «Alla revoca Musa era quasi in depressione e noi faticavamo a spiegargli il perché».
Riflette adesso Rigo: «Di esempi come quello di Musa ce ne sono ancora, purtroppo. Nello specifico facemmo valere l’aspetto discriminatorio della norma: un italiano in affidamento avrebbe potuto essere tesserato. Ma quanti sono i casi dove non ci sono avvocato, famiglia, club o persone con la sensibilità giusta?». Citato nel 2018 dall’inglese Guardian nella top 60 mondiale dei classe 2001, dopo l’esordio in A col Chievo già retrocesso (prima una parentesi al Torino per il Viareggio) Musa passa al Bologna l’estate scorsa. In Primavera, 13 reti e 6 assist. Con Mihajlovic, una mezzora di rodaggio. Fino all’esultanza nel vuoto della Scala. Dal Mediterraneo al calcio di casa nostra, scommettendo sul mare, come i Coulibaly (Udinese, prestito in B) o i Maissa (Roma Under 18). Sul piano sportivo, quello di Musa all’Inter è un gol. Su ogni altro piano, è molto di più.