il Giornale, 6 luglio 2020
I preti costretti a chiedere prestiti in banca
Don Salvatore mostra l’ultima bolletta del telefono: 214 euro, con appena cinque telefonate locali e una interurbana. «Sono tutte tasse, siamo costretti a stipulare il contratto business, la parrocchia è considerata un’azienda», dice con una velata ironia.
Arrivare a fine mese, tra bollette, tasse, mutui e manutenzione, non è facile. Le parrocchie e i santuari, svuotate dai fedeli, sono in ginocchio; le ripercussioni economiche pesano sui bilanci; i conti sono in rosso.
E mentre bollette e spese di gestione non si sono mai fermate, le uniche entrate la cosiddetta questua e le offerte per battesimi, matrimoni, comunioni e messe per i defunti sono vicine allo zero. «Le parrocchie, diversamente da quanto pensa la gente, ovvero che siano aiutate dal Vaticano o da extraterrestri che scendono dal cielo e portino vagonate di soldi, vivono grazie alle offerte dei fedeli raccolte durante le messe o con i sacramenti», spiega don Salvatore Cernuto, parroco della Santissima Trinità a Lunghezza, periferia est di Roma. «Le bollette non sono come quelle di una casa; solo di utenze in un anno arriviamo a pagare anche 13mila euro; la parrocchia è considerata come un’azienda a scopo di profitto accusa il parroco – l’energia elettrica è uso di lusso, il gas è uso industriale, il telefono uso business, perché non è intestato a una persona. Le messe con i fedeli, dall’8 marzo al 18 maggio non ci sono state. Questo ha significato zero offerte, zero battesimi, zero comunioni. La parrocchia avrà perso come minimo 5mila euro».
L’idea delle donazioni online non ha funzionato («I nostri parrocchiani sono tutti anziani, non usano internet né i social») e con la ripresa delle celebrazioni don Salvatore ha diffuso un depliant per spiegare la situazione. «Dal 18 maggio molti si sono prodigati con offerte e siamo rientrati con un migliaio di euro. Ma la gente ha ancora paura e le messe sono semi deserte. Anche noi parroci, come i bravi padri di famiglia, dobbiamo essere lungimiranti, parsimoniosi, e pensare anche alle situazioni di difficoltà. Per questo abbiamo sempre una piccola somma da parte per le situazioni di emergenza, come è stato per il Covid». Anche con i conti in rosso, la solidarietà non è mancata. «Non possiamo chiudere gli occhi verso i poveri prosegue don Salvatore grazie al comune di Roma sono arrivati più di 50 pacchi di viveri e con l’aiuto di tanta gente in questo periodo abbiamo dato da mangiare a 97 famiglie».
Un tarlo, però, resta. «Non capisco perché non possiamo passare con il cestino per le offerte durante la messa», chiosa don Salvatore, che confessa: «Se vediamo che la situazione continua così, a luglio sarò costretto a provvedere diversamente».
PROVVIDENZA E TELEFONO
«Non solo le città turistiche, ma anche le città santuario si stanno confrontando drammaticamente con la perdita dei posti di lavoro e oboli afferma padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi e anche il nostro santuario è inserito in questo cammino di perdita di afflusso di pellegrini, turisti, devoti e quindi delle molte donazioni. Ma siamo chiamati ad affidarci alla provvidenza». Provvidenza e solidarietà sono le due parole a cui i francescani si richiamano. «Abbiamo lanciato l’iniziativa Con il cuore, a favore delle famiglie più bisognose. Grazie al messaggio solidale (45515 fino al 15 luglio) abbiamo superato un milione e mezzo di euro. Nelle difficoltà conclude padre Enzo – gli italiani rivelano una generosità straordinaria che sta permettendo di aiutare centinaia e centinaia di famiglie».
Eppure il crollo c’è stato. Il santuario francescano è passato dalle 5mila visite al giorno nello stesso periodo del 2019, alle zero presenze di quest’anno. «Per tre mesi non abbiamo visto nessuno conclude padre Enzo – ora mi pare che si vedano dei segnali di ripresa».
Stesso destino per San Giovanni Rotondo, la patria di padre Pio, visitata ogni anno da centinaia di migliaia di devoti. «La riduzione delle presenze è del 100% rispetto allo stesso periodo (marzo-maggio) dello scorso anno spiegano dal santuario del frate cappuccino – il crollo delle entrate intorno all’80%. Il restante 20% è arrivato da sistemi di invio a distanza: bonifici o conto corrente. Ma anche queste offerte, rispetto al 2019, sono diminuite del 20% – precisano – probabilmente a causa della ridotta capacità di spesa, che ovviamente ha investito anche i devoti di Padre Pio». Qualcosa è cambiato dal 3 giugno, con la decadenza del divieto di spostarsi da una regione all’altra. «Si nota una ripresa graduale degli arrivi, che finora si è tradotta in offerte pari al 10% rispetto a giugno del 2019. Ma non è facile al momento fare un’analisi precisa concludono dal santuario. Anche da noi il personale laico che si occupa di questi aspetti è in cassa integrazione».
Poi c’è chi, come don Emilio Grazioli, parroco della Sacra Famiglia a Novara, è stato costretto a chiedere un fido alla banca. «Avevo stabilito un grosso lavoro di ristrutturazione degli infissi della parrocchia, per un totale di 60mila euro. Ne abbiamo già pagati 40mila e contavo di completare con la somma restante proprio in questi mesi. Ma le offerte spiega don Emilio si sono azzerate. In tre mesi abbiamo avuto una perdita di 15mila euro; i lavori erano stati avviati e non potevo fermarli. Ora ci troviamo scoperti di 20mila. Ho fatto un appello a tutti i parrocchiani. Piano piano ce la faremo».
COSTI IN AUMENTO
Le chiese sempre aperte, anche durante il lockdown, hanno visto correre le spese: luce, bollette, manutenzione. E ora ci sono anche i costi per la sanificazione. «Il 70% dei costi sono per la manutenzione ordinaria, il restante va per la pastorale spiega don Andrea Marianelli, parroco della Sacra Famiglia a Firenze dovevamo prevedere un lavoro per il tetto delle cupole della chiesa, una spesa di 70mila euro nelle peggiori delle ipotesi, ma abbiamo dovuto sospendere. Prima o poi però dovremo intervenire e dove si troveranno i soldi?», si domanda con un pizzico di preoccupazione. Anche in questo caso il lavoro per le famiglie più bisognose non si è fermato. «La nostra parrocchia si è sempre qualificata per la carità sottolinea don Andrea andando anche oltre i confini parrocchiali. Quando è scoppiato il coronavirus, abbiamo subito pensato a don Bosco che non abbandonò i suoi ragazzi quando a Torino scoppiò il colera. E noi salesiani ci siamo rimboccati le maniche: abbiamo aiutato 262 famiglie, sfamato 485 bocche. Sono i nuovi poveri, i poveri vergognosi, coloro che dall’oggi al domani si sono trovati a chiedere la carità». C’è una preoccupazione: «La gente fa fatica a comprendere quanto sia importante aiutare, oltre che per la carità, anche per le spese di gestione di una parrocchia».
I problemi sono simili anche alla Basilica di Sant’Antonio a Padova. «Non è mai stata chiusa ma era sempre pressoché vuota dicono dal santuario ora l’accesso è consentito a un massimo di 200 persone». Al Santo, lo scorso anno sono transitate oltre un milione e 200mila persone: un trend che ha subìto una battuta d’arresto negli ultimi tre mesi. «La Basilica si è però organizzata con televisioni locali, messe in streaming e raccolte online proseguono i francescani è stato possibile seguire sul Web la festa di Sant’Antonio del 13 giugno, e sul sito si può prenotare messe ed effettuare visite virtuali in Basilica». Stesso destino al Santuario di Loreto. «In questi mesi non ci sono stati pellegrinaggi, mentre da alcune settimane i pellegrini hanno ricominciato ad arrivare spiega monsignor Fabio Dal Cin, arcivescovo delegato pontificio di Loreto e il programma del Giubileo ha subìto un drastico ridimensionamento». Conti in rosso non solo per i santuari italiani. Otto milioni di perdite è il deficit che deve fronteggiare il santuario di Lourdes. «Dall’inizio della crisi ogni giorno assistiamo a cancellazioni di pellegrinaggi afferma il rettore monsignor Olivier Ribadeau Dumas e si preannuncia una stagione complicata per il Santuario, le cui risorse sono legate alla presenza dei pellegrini. Senza le loro offerte, Lourdes non potrà vivere».