Il Sole 24 Ore, 5 luglio 2020
Quanto vale l’alta velocità fino in Sicilia
Senza l’attuale rete di Alta velocità il Pil italiano perderebbe 41 miliardi, il 2,5% del totale oggi, il 3% se rapportato al prodotto interno lordo medio italiano del decennio dell’Alta velocità dal 2009. Tanto vale il reddito generato direttamente o indirettamente dai treni veloci che raggiungono metà della Penisola oggi. Ma il Pil italiano sarebbe cresciuto di altri 58-60 miliardi, un 3,3% aggiuntivo, se anche l’altra metà della popolazione – quella che vive a più di un’ora di distanza da una stazione Av – fosse stata agganciata alla rete (76% localizzati a meno di un’ora, l’altro 24% a meno di due ore) e già l’Italia avesse potuto contare sull’Alta velocità di rete (Avr con velocità da 200 a 300 km/h e drastico abbattimento dei tempi di percorrenza) completata con la Napoli-Bari, la Salerno-Reggio Calabria, la Catania-Messina-Palermo, l’Adriatica velocizzata, la Roma-Pescara e/o la Roma-Ancona, l’asse completato da Milano a Trieste e il nodo ligure. Questi 58-60 miliardi sono la misura dello spreco per aver perso tanto tempo dal 2008 a oggi e non aver ancora completato quel disegno, non averne sciolto i nodi restanti, non aver capito le nuove disuguaglianze che si venivano a creare.
A stimare l’effetto sul Pil della realizzazione completa dell’Alta velocità di rete, con un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Transportation Research, è ancora il pool di professori e ricercatori dell’Università Federico II di Napoli (Ennio Cascetta, Armando Carteni, Ilaria Henke e Francesca Pagliara) che sei mesi fa (si veda Il Sole 24 Ore del 30 gennaio scorso) aveva posto all’attenzione del dibattito pubblico il tema dei nuovi squilibri territoriali e delle nuove disuguaglianze create in una Italia divisa fra «città Tav» (localizzate a meno di un’ora di distanza da una stazione Av) e «città no Tav» (a oltre un’ora). Nuovi squilibri che accentuano quelli tradizionali Nord-Sud e creano nuove aree deboli nella parte est della Penisola, riproponendo in chiave nuova anche vecchi temi ferroviari come il potenziale di sviluppo reale delle linee trasversali fra Tirreno e Adriatico.
La buona notizia di questi giorni è che il governo Conte 2 ha già deciso di accelerare e passare dalle parole ai fatti con questo completamento, la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli lo ha chiamato progetto #italiaveloce, che è inserito nel Def Infrastrutture (al Cdm in settimana) ed è uno dei punti di forza del Recovery Plan italiano (in approvazione a settembre): l’unica vera buona notizia sottratta alla vaghezza degli Stati Generali di Villa Pamphili. Con l’accelerazione del sì al contratto di programma Rfi-Fs e gli altri alleggerimenti procedurali in arrivo con il decreto legge semplificazioni in settimana e con l’accelerazione delle anticipazioni di cassa che potrà darci il Recovery Fund europeo, dovrebbe finalmente diventare realtà la promessa di Conte, De Micheli e dell’amministratore delegato di Fs, Gianfranco Battisti, di mettere il turbo al disegno Avr e più in generale far fare un salto agli investimenti ferroviari, soprattutto al Sud.
C’è di più. Per la tratta più discussa e insidiosa, l’ultima che aspettava ancora una decisione fattuale, la Salerno-Reggio Calabria, l’articolo 208 del decreto legge Rilancio destina 40 milioni del contratto di programma Rfi al progetto di fattibilità che Rfi deve fare e che, entro il 2021, dovrà portare il ministero dei Trasporti alla scelta della soluzione progettuale definitiva. Fatta questa scelta resterà da decidere soltanto per la rete Avr – ma anche questa decisione sembra ormai non rinviabile – come collegare la Sicilia al resto d’Italia con un collegamento stabile, forse un ponte diverso da quello immaginato 15 anni fa. Anche questa sarà materia a cavallo fra il Recovery Plan e il 2021.
Tornando all’impatto sul Pil dei treni veloci, in una recente presentazione, Cascetta ha sintetizzato i risultati dell’ultimo studio aggiornato, riferito all’anno 2018 («ma – dice – abbiamo motivo di ritenere che la ricerca avrebbe dato gli stessi risultati anche per il 2019, non essendo mutate in misura rilevante le condizioni dell’offerta di trasporto»). In media il contributo dell’Alta velocità di rete alla crescita del Pil nel decennio 2008-2018 è stato del 3% su scala nazionale, articolato in un 6% per le «città Tav» e in un 2% per le città «no Tav». Considerato il Pil 2018, pari a 1.720 miliardi, sarebbe sceso a 1.679 miliardi senza i treni Av e sarebbe salito a 1.778 miliardi con il completamento della rete Avr.