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 2020  luglio 04 Sabato calendario

Una raccolta dell’Italia trash

Si fa presto a dire trash. Troppo presto. Il vocabolario Treccani fornisce questa voce: «Trash ‹träš› s. ingl. (propr. “immondizia”), usato in ital. come agg. e s. m. – 1. agg. Di prodotto (libro, film, spettacolo televisivo e sim.) caratterizzato da cattivo gusto, volgarità, temi e soggetti scelti volutamente e con compiacimento per attirare il pubblico con quanto è scadente, di bassa lega, di infimo livello culturale: un film, una trasmissione t.; per estens., di cattivo gusto: un arredamento, una scenografia trash. 2. s. m. Orientamento del gusto basato sul recupero, spesso compiaciuto e esibito, di tutto quanto è deteriore, di cattivo gusto, di pessima qualità culturale: il diffondersi del t.; i teorici del t.; il t. televisivo; la sottocultura del trash». Dunque tutto quello che definiamo come immondizia, spazzatura è trash; tutto ciò che ci pare di cattiva qualità è trash, secondo la vulgata.
La voce «Trash» della Garzantina sulla Televisione (1996) riporta quanto segue: «Il termine trash copre aree di significato un tempo occupate da categorie come il kitsch o il camp (il kitsch consapevole); di per sé non ha connotazioni né negative né positive. Sulla nozione di trash tv o di Tv-spazzatura esistono due scuole di pensiero. La prima identifica nell’immondizia la parte oscura, innominabile, inguardabile della tv: una vasta produzione che annovera tutti quei programmi che inscenano la violenza, le parolacce, il cattivo gusto, le liti, il dolorismo, la provocazione, la rissa, la demenzialità coatta, il sopra-le-righe, l’intera costellazione della cosiddetta “serie B”... È una tv che non ha più regole né etiche né estetiche, è una tv senza ritegno e vergogna, volutamente approssimativa. L’immagine più pertinente di questa idea di Tv-spazzatura è stata la sigla dell’Istruttoria di Giuliano Ferrara; il conduttore, vistosamente truccato, traeva da un bidone dell’immondizia i resti del suo banchetto televisivo dove tutto doveva essere programmaticamente eccessivo, eccitato, eccentrico. La seconda scuola di pensiero, rappresentata da Tommaso Labranca, autore di testi sull’argomento (Andy Warhol era un coatto; Estasi del pecoreccio), considera il trash come una categoria estetica, al pari di barocco, impressionismo, verismo. Trash sarebbe solo il termine tecnico che definisce il fallimento di una prova nell’emulare un modello “alto”; da questo punto di vista nessuno di coloro che fanno televisione può dirsi immune dal trash».
Per fortuna, sono usciti due libri che affrontano testi e contesti legati alla nozione di trash («tutto quello sterminato, ubiquo prodotto che va sotto il nome di cultura pop»): Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca di Claudio Giunta (il Mulino) e Mad in Italy. Manuale del trash italiano. 1980-2020 di Gabriele Ferraresi (il Saggiatore). Curiosamente sono due libri complementari: il primo, attraverso il racconto della vita di Labranca, fornisce gli strumenti teorici per riflettere sulle cose che hanno riempito la nostra vita e il nostro immaginario nell’ultimo mezzo secolo (Giunta ha una capacità analitica di rara finezza, secondo la celebre massima di von Hofmannsthal: «La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie»); il secondo è uno sterminato catalogo «di idiozie e genialità», un bestiario del trash, «un pellegrinaggio alla scoperta della parte più esposta e meno raccontata dell’anima italiana» (Ferraresi non si occupa soltanto di immaginario, ma estende la nozione di trash anche alla vita pubblica).

Veniamo al punto. Nel 1994, Labranca teorizza il trash come «emulazione fallita»: «Si imita non per il gusto sterile di imitare e confondersi con mille altri, ma per poter spiccare all’interno del proprio gruppo. Inoltre il risultato di questa emulazione non è mai simile al modello. Si tratta dunque di una emulazione fallita. Nel noto programma di vendite a domicilio Domenica con Semeraro, trasmesso da varie tv locali un po’ in tutta Italia, il presentatore Walter Carbone cerca di emulare Pippo Baudo, ma non potendo invitare Madonna e dovendo ripiegare su Mario Tessuto, il suo risultato è trash. Nei suoi libri e film Alberto Bevilacqua cerca di emulare certi artisti aulici, ma innestando l’estetismo decadente sulla crapulaggine parmense, il suo risultato è trash. Durante il Tg4 Emilio Fede cerca di imitare la Cnn, ma circondato da collaboratori surgelati come il tristemente celebre Paolo Brosio dal Palazzo di Giustizia di Milano, il suo risultato è trash. Quest’ultimo pilastro, l’emulazione fallita, è dunque importantissimo e basta da solo a soddisfare ogni tentativo di spiegazione poiché, enunciandolo, è già venuta a galla la formula matematica del trash: INTENZIONE – RISULTATO RAGGIUNTO = TRASH».
Giunta chiarisce che gli esempi di Labranca appartengono all’Italia degli anni Novanta, ma la bontà della teoria è valida anche al presente: i nomi suggeriti da Andy Warhol era un coatto sono facilmente sostituibili con gli equivalenti di oggi (un perfido esempio: «Al posto di Bevilacqua, uno dei nostri scrittori di montagna che si atteggia a Thoreau»). Basta poi sfogliare il libro di Ferraresi perché ognuno trovi gli esempi che meglio conosce, dai paninari di piazza San Babila alla svolta mistica di Pippo Franco, dal Peggio di Novella 2000, il cult scritto da Renzo Arbore e Roberto D’Agostino, alla biografia di Matteo Salvini per Rizzoli, dalle «cassanate» (le imprese del calciatore Antonio Cassano) a Dino Giarrusso: «In una serie di servizi – scrive Ferraresi – varie attrici riferiranno a Giarrusso di “un regista romano ultraquarantenne e autore di commedie” presunto molestatore, identificato poi dalla gogna generale in Brizzi. Finì tutto nel nulla con la Procura di Roma che archivia il caso. Giarrusso avrebbe poi capitalizzato la sua presenza in tv candidandosi con il Movimento 5 Stelle, senza essere eletto, ma venendo ripescato a presiedere un “osservatorio sui concorsi nell’università e negli enti di ricerca”. “Chi meglio di una iena?”: così annuncia la sua nomina il futuro ministro all’Istruzione Lorenzo Fioramonti in un post su Facebook».
Chiedo venia, ma non resisto a non raccontare il mio incontro con il trash, sulla via di Damasco. Ne ho scritto prima sul «Patalogo» e poi ne Il Bel Paese della tv. Viaggio nell’Italia delle emittenti locali (2004) e riguarda l’orazione funebre tenuta su Rete A da Wanna Marchi e Guido Angeli per la morte di Giorgio Aiazzone, titolare dell’omonimo mobilificio. «La cerimonia dell’elogio funebre ha due tempi. Il primo si svolge la tarda sera del 14 luglio 1986. Wanna Marchi si presenta contrita in primo piano (esclude per il momento i suoi prodotti) e comincia a tessere gli elogi dell’estinto. Niente di particolare, ricordi un po’ ordinari (Aiazzone ammirava una sua giacca rossa firmata Ferré, le voleva regalare un Cartier d’oro, per altro rifiutato dalla signora, e per l’occasione se ne uscì con uno storico «Ah, questa volta non mi sfuggi!» e altra aneddotica di questo tenore); l’unico particolare interessante è che Aiazzone desiderava molto che la Marchi diventasse una sua «testimonial» e non mancò occasione per corteggiarla nei modi in cui, a suo tempo, Berlusconi aveva corteggiato la Carrà... Poi urge la vendita delle alghe che fanno perdere i chili e Aiazzone viene congedato con alcune dediche: «Tu che sei in cielo, ci sentirai»; «A nome mio, dei miei figli, dei miei clienti dedichiamo questi fiori a questo uomo immenso»; «Un applauso per Giorgio»...
Il secondo tempo della macabra danza funebre si svolge il giorno seguente, più o meno alla stessa ora. Guido Angeli, il «volto» e la «voce» del mobilificio tiene il discorso ufficiale di commemorazione... Angeli parla naturalmente di Aiazzone secondo gli stereotipi della pubblicità inventata da Aiazzone e ne parla nel solito modo logorroico per circa 80 minuti – forse la più lunga orazione funebre mai tenuta: «Mi ascolteranno da tutta Italia, isole comprese. Se passate sulla tangenziale di Biella vi accorgerete chi è Aiazzone. Questa città che non ha mai compreso la tua filosofia commerciale». L’elogio funebre è condito da una vasta aneddotica: Angeli al ristorante che viene confuso con il suo titolare, la nascita del fortunato slogan «provare per credere», le telefonate alle tre di notte, i presunti dissapori dell’ultimo periodo (Angeli è baciato dal successo: film, dischi, Canale 5); tutte dicerie: i due avevano un «feeling disumano». È un appello continuo alle mamme d’Italia «che piangono con me» (ma che sono anche le clienti più affezionate). È un lungo dialogo con la poltrona vuota. Angeli usa il morto per avallare ogni sua scelta: «Sono sicuro che a Giorgio sarebbe piaciuto così» (e intanto chiede conferma alla poltrona vuota).
Se vogliamo capire qualcosa del fenomeno trash, abbiamo tutti un debito nei confronti di Labranca, morto troppo giovane e forse troppo lucido, avendo deciso da solo la sua esclusione dal mainstream editoriale (dissimulata sotto le apparenze del cattivo carattere). Scrive Giunta: «Per impostare almeno la questione si può dire in primo luogo che Labranca ha ampliato la sfera del criticabile, mostrando come parlare delle cose triviali senza essere triviali a propria volta. Labranca è l’angelo custode di tutti coloro che si occupano di effimero con intelligenza e umorismo». Parole definitive.

Ferraresi scrive una storia d’Italia, quarant’anni di emulazioni fallite, rivoltando il guanto che ci ha permesso di non «sporcarci» troppo le mani, di scavare nei «detriti» della nostra società alla scoperta della parte più esposta e meno raccontata dell’anima italiana: il tentativo di ricostruire il puzzle dell’identità nazionale attraverso i suoi tasselli più assurdi e volgari, per cercare di capire che cosa di noi è rimasto immutato nel tempo e come invece siamo cambiati: «Ieri eravamo Postalmarket, oggi siamo Amazon».
Ogni anno è preceduto da un resoconto cronachistico di fatti importanti, come una foto in positivo. Ma il negativo parla d’altro, raccontando per esempio la famosa lite tra Adriano Pappalardo (il cantante di una sola canzone: Ricominciamo) e Antonio Zequila, detto «er mutanda». E poi uno stacco: «Casalino nel 2019 è portavoce e capo ufficio stampa di Giuseppe Conte, che tutt’ora pare incredibile ma è presidente del Consiglio di una democrazia reale, e di conseguenza Casalino fa le foto con Trump, va a cena con la Merkel. Lo stesso Casalino che era presente nella puntata della rissa Zequila, in cui tra l’altro Pappalardo fu addormentato da Giucas Casella e colto da un malore, obbligando Mara Venier ad andare subito in pubblicità. Uno dei motivi per cui scrivere narrativa non serve più a molto è che la realtà da un po’ di anni è diventata più incredibile di qualunque finzione».
Quando Eugenio Scalfari scrive che il premier Giuseppe Conte assomiglia in modo spudorato a Camillo Benso conte di Cavour possiamo parlare di emulazione fallita e quindi di trash?