La Lettura, 4 luglio 2020
Un Colosseo a Pyongyang
Che cosa ci fa uno stadio da 114 mila posti in una città tagliata fuori dal mondo? Pyongyang è la capitale del Paese più isolato e chiuso della Terra eppure vanta questo record di grandezza: una struttura tanto allargata e alta che dalle tribune gli atleti sembrano puntini indistinguibili. Vediamo perché.
Correva l’anno 1986, la Corea del Sud si preparava a ospitare a Seul i Giochi olimpici del 1988. Al Nord il vecchio Kim Il Sung guardava con invidia e rancore; il cubano Fidel Castro propose che le due Coree si spartissero le gare; il regime nordcoreano alzò le pretese esigendo lo svolgimento di 11 dei 23 eventi sul suo territorio e anche doppie cerimonie di apertura e chiusura. Il negoziato fallì, il dittatore ordinò il boicottaggio, seguito solo da Albania, Cuba, Etiopia e Seychelles. Allora Kim commissionò la costruzione del megastadio sull’isola Rungra nel fiume Taedong che taglia Pyongyang. Doveva offuscare quello olimpico di Seul. I lavori furono ultimati nel 1989, inaugurazione il primo maggio: la Nord Corea aveva il suo gioiello mastodontico, lo stadio Rungrado Primo maggio.
Struttura coperta, sorretta da 16 arcate in cemento a forma di fiore di magnolia, spianata da 22 mila metri quadrati, il triplo di un campo da calcio, spazio totale dell’opera 242 mila metri quadrati divisi in otto piani, quello superiore alto 60 metri. E 114 mila posti a sedere secondo stime indipendenti, 150 mila secondo la propaganda nordcoreana che tende ad amplificare, tanto nessuno può permettersi di verificare.
È il Colosseo della Repubblica democratica popolare di Corea, il teatro dove la dinastia Kim ama intrattenere gli ospiti di riguardo. Nel settembre 2018, al culmine della stagione dialogante di Kim Jong-un, al presidente sudcoreano Moon Jae-in venuto in visita fu concessa l’opportunità di tenere un discorso dalla tribuna, applauditissimo (a comando) dai sudditi del Rispettato Maresciallo. Il coraggioso e visionario Moon parlò di pace, cooperazione, unificazione. Parole morte o agonizzanti ora che Kim ha ripreso a giocare con i missili.
Abbiamo detto che in realtà, dalle tribune distantissime dal campo gli spettatori avrebbero bisogno di un binocolo per vedere gli atleti al centro del rettangolo in erba. Non è un errore di progettazione: i protagonisti, le comparse delle manifestazioni sono proprio gli spettatori, forniti di quadrati di cartone colorati che debbono muoversi all’unisono per formare coreografie perfette. Riproducono soldati all’attacco, bandiere rosse, missili, funghi atomici, varie macchine da guerra, il mitologico destriero volante Chollima che rappresenta lo spirito eroico del popolo coreano.
Una volta all’anno, tra agosto e settembre, Kim regala al suo popolo nel Rungrado Primo maggio i Giochi di massa, che schierano sul campo fino a 100 mila ginnasti figuranti: la loro rappresentazione è segnalata nel Guinness dei primati come la più grande nel suo genere. Il Cesare di Pyongyang di solito si compiace di applaudire dal suo rostro centrale nel giorno dell’inaugurazione uno spettacolo che poi va avanti sempre uguale per settimane. Negli ultimi anni i balletti allo stadio si erano trasformati in fonte di valuta straniera di cui il regime ha disperato bisogno. I turisti ammessi dall’estero pagavano un biglietto d’ingresso alcune centinaia di dollari. Ma nel 2019 qualcosa ha infastidito il Terzo Kim, che dopo avere assistito alla prima ha sospeso i Giochi di massa. Analisti internazionali al lavoro per decifrare la decisione. Giorni dopo arrivò la spiegazione della propaganda di Pyongyang: Kim si era «dispiaciuto per lo spirito non giusto» delle coreografie. E «criticò gravemente» gli autori dello show «per il loro cattivo ingegno creativo e l’atteggiamento irresponsabile sul lavoro, emerso nei contenuti e nella forma». Elogi invece per il popolo degli attori, migliaia e migliaia di ragazzini che si erano preparati incessantemente per mesi.
Che cosa turbò Kim al punto di far calare il sipario su una manifestazione nata anni fa per consolidare il consenso popolare (il vecchio gioco circense caro a tutte le dittature fin dall’epoca romana) e diventata anche un bancomat in dollari per il regime? La scenografia principale era composta da pannelli che componevano i volti della Dinastia Kim: i defunti Kim Il Sung e Kim jong-il. E fin qui tutto bene, ma il regista l’anno scorso aveva aggiunto il faccione del Maresciallo Kim Jong-un. Qualche analista sostiene che proprio i quadri umani con il suo volto non fossero piaciuti a Kim, che forse ci aveva visto un segno di malaugurio.
Al regime piace riempire le gradinate del Rungrado Primo maggio. Ma anche no. Il 15 ottobre 2019 è arrivata a Pyongyang la nazionale della Sud Corea per le qualificazioni ai mondiali di calcio 2022. Niente diretta tv, evento dirottato su uno stadio minore, da 50 mila posti. E tribune deserte. Forse Kim Jong-un temeva la sconfitta della sua squadra e per questo ha oscurato la gara tenendo alla larga i tifosi di casa. Peccato, avremmo potuto ammirare il giovane talento Han Kwang-song, attaccante anche della Serie A. L’ex senatore forzista Antonio Razzi, che vanta solidi rapporti con la Nord Corea, sostiene di aver pilotato l’operazione. E sostiene anche che Kim Jong-un, giovane studente in Svizzera, si appassionò al calcio e andò a vedere l’Inter a San Siro. Il derby coreano finì 0-0 e i nordisti «picchiarono come fabbri».
Spostiamoci a Guangzhou, in Cina. Nonostante i dubbi causati dal coronavirus sugli assembramenti, sono cominciati i lavori per il nuovo stadio dell’Evergrande di Cannavaro: sarà il più grande e avveniristico del mondo, costo 1,2 miliardi di dollari, pronto nel 2022. Toglierà la corona del gigantismo al Primo maggio. Come reagirà Kim? Aggiungerà un nono anello per portare i nordcoreani in cielo?