La Lettura, 4 luglio 2020
Darwin sessuologo
’idea più rivoluzionaria e «pericolosa» di Charles Darwin non fu la selezione naturale, che ci restituì una visione scientifica della natura emancipata da disegni provvidenziali. Ce n’è un’altra, ancor più scandalosa, e per questo a lungo rimossa. Il co-firmatario della teoria dell’evoluzione, Alfred R. Wallace, la rifiutò sdegnosamente. Anche in Italia i maggiori naturalisti e antropologi come Giovanni Canestrini e Paolo Mantegazza, che ebbero il merito di introdurre l’opera dello scienziato inglese nel nostro Paese, rimasero assai perplessi su questa ipotesi, e lo scrissero a Darwin stesso. Che cosa aveva mai proposto di tanto inaccettabile l’autore dell’Origine delle specie?
Comincia da questa suspense il ponderoso volume dello zoologo Richard O. Prum, L’evoluzione della bellezza (Adelphi). Darwin notò che molti caratteri si sono evoluti negli organismi non perché garantissero migliori chance di sopravvivenza, ma per un vantaggio riproduttivo diretto. Anzi, spesso questi tratti sono così ingombranti da pregiudicare le possibilità di sopravvivenza dei portatori, e quindi vanno contro la selezione naturale. Il meccanismo è sempre lo stesso: le variazioni ereditarie degli individui vengono filtrate dall’ambiente e dal contesto sociale. Ma la logica si inverte. Nella selezione naturale il successo riproduttivo è una conseguenza della capacità di sopravvivere meglio e di raggiungere l’età fertile. Nella «selezione sessuale» si compete invece per il successo riproduttivo, costi quel che costi.
I palchi maestosi, le zanne, i versi baritonali e la stazza offrono ai maschi un vantaggio nella lotta contro altri maschi – a volte simbolica, a volte violenta – per la conquista delle femmine. Questa è la selezione intrasessuale. In modo meno gladiatorio, un’enorme quantità di caratteri «estetici» degli animali – dai canti alle danze di esibizione, dai colori del manto ai piumaggi sgargianti – ha invece la funzione di rendere alcuni più attraenti di altri al cospetto di potenziali partner: in questo caso sono le femmine (raramente i maschi) a scegliere con chi accoppiarsi, per selezione intersessuale.
Talvolta gli interessi dei due sessi confliggono e l’aggressività maschile si scarica contro le femmine, come nelle copule violente in alcune specie di anatre. Nella mente di Darwin questi temi avevano acquisito un’importanza crescente e nell’Origine dell’uomo se ne occupa con profusione di dettagli. Ma le due versioni della selezione sessuale (armamenti e ornamenti) furono accolte in modi radicalmente opposti. Mentre la competizione tra maschi fu ben accetta, trattandosi in fondo di una versione di selezione in cui si lotta virilmente per una compagna, l’idea che le femmine avessero avuto un ruolo attivo nel plasmare l’evoluzione, soprattutto dei maschi, apparve ai più troppo anticonformista.
Non era ben chiaro allora, e non lo è ancora oggi a dire il vero, perché le femmine comincino a sviluppare le loro bizzarre preferenze, scatenando un esibizionismo maschile che è diverso da specie a specie. Una spiegazione, utilitaristica, è che i caratteri maschili preferiti dalle femmine siano quelli che segnalano buona salute, cioè migliori geni da trasmettere. Sobbarcarsi un ornamento costoso, come la coda del pavone o la meravigliosa corona di penne dell’argo maggiore, e non essere stati ancora divorati da un predatore, significa avere forza e resistenza. Più l’handicap è gravoso, più le femmine ne saranno attratte, anche perché i loro figli maschi lo erediteranno e quindi saranno a loro volta competitivi.
La bellezza, insomma, si sarebbe evoluta in funzione dell’utilità: indicherebbe un buon partito e un padre promettente. Il fatto che la bellezza sia anche piacevole ai sensi è solo un rinforzo. Secondo Prum questa ipotesi è però insufficiente. Anzi, è diventata una sorta di dogma. A suo avviso, l’evoluzione estetica attraverso la scelta del partner ha anche una componente arbitraria, frutto di una libera scelta femminile. Peraltro la pensava così lo stesso Darwin, secondo il quale gli uccelli sono gli animali più estetici dopo l’uomo: i meravigliosi canti, gli arazzi piumati, le danze, i rituali dei maschi si sono co-evoluti con il gusto del bello e i desideri delle femmine.
Prum si spinge oltre, ipotizzando che la diversificazione delle più di 10 mila specie di uccelli attuali sia dovuta in gran parte all’evoluzione di standard di bellezza indipendenti e variegati. La bellezza non si è evoluta solo perché vantaggiosa sul piano adattativo, ma anche perché i segnali sono piacevoli di per sé, anche se talvolta inutili, pesanti e stravaganti. Magari all’inizio l’ornamento era un segno di vigore, ma poi è prevalsa la scelta estetica. Le femmine non sono algoritmi che scelgono un partner solo per massimizzare l’utile riproduttivo o perché strumentalizzate dagli ornamenti maschili. La loro libertà di scelta genera mode arbitrarie, che poi si alimentano grazie al vantaggio genetico di fare figli maschi alla moda, che a loro volta piaceranno di più alle loro compagne.
Se queste preferenze estetiche si sviluppano in popolazioni isolate, danno origine a specie distinte. Ecco spiegata, per Prum, la straordinaria diversità dei virtuosismi estetici degli uccelli, le policromie e le illusioni ottiche dei piumaggi, le danze dei manachini, le alcove degli uccelli giardinieri australiani, le arene dove farsi belli insieme, ma anche molti tratti sociali dei maschi.
Come Darwin, anche Prum non ha il dono della sintesi quando scrive di selezione sessuale, ma vale la lettura perché questa storia naturale della bellezza e del desiderio è scritta da uno dei massimi ornitologi e birdwatcher al mondo. Da 40 anni studia gli uccelli in ogni angolo della Terra e ha osservato circa un terzo di tutte le specie esistenti (per vederle tutte non basta una vita). Prum fu uno dei primi a sostenere vent’anni fa, nello scetticismo generale, che gli uccelli discendono da dinosauri teropodi, bipedi e carnivori. Oggi sappiamo che ben tre gruppi di dinosauri sopravvissero alla catastrofe di 66 milioni di anni fa e divennero gli antenati volatori dei tre maggiori gruppi in cui si suddividono tutte le specie di uccelli attuali. Prum ritiene che fu proprio la capacità di volare a salvarli dall’estinzione durante quel drammatico sconvolgimento ecologico.
Prum scoprì che un dinosauro di 150 milioni di anni fa, pennuto su tutti e quattro gli arti, Anchiornis huxleyi, esibiva già una livrea dai colori sgargianti. Questo dimostra che le penne non si sono evolute per il volo negli antenati degli uccelli: in una prima fase, le penne a ciuffetto avevano funzioni di termoregolazione e idrorepellenza; poi, le penne piatte, lunghe e pigmentate assunsero un ruolo nella selezione sessuale, come ornamento; infine, furono cooptate nel volo planato e battuto. Quindi è il volo che si è evoluto dalle penne, non viceversa.
Per Prum l’autonomia sessuale femminile è stata cruciale pure nell’evoluzione umana, anche se qui le congetture si fanno più ardite. Gli esempi spaziano dalla perdita dell’osso del pene all’esposizione permanente del seno, dall’evoluzione dell’orgasmo femminile all’omosessualità. L’ornitologo di Yale si scaglia, non senza buoni argomenti, contro la psicologia evoluzionistica di maniera che vede utilità riproduttiva e adattamenti in ogni comportamento umano, negando valore al piacere sessuale femminile. Per capire la complessa evoluzione estetica di Homo sapiens dobbiamo integrare biologia e cultura, e riconoscere l’importanza dell’esperienza soggettiva e gratuita delle preferenze sessuali femminili e maschili. La bellezza succede, il piacere succede, conclude Prum. E ce li teniamo stretti anche se non servono a niente.