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 2020  luglio 04 Sabato calendario

Orsi & tori

In Italia, nel governo, c’è qualcuno che si è accorto che l’inflessibile Austria ha deciso di finanziarsi con un prestito irredimibile, cioè da non restituire, per 2 miliardi di euro con una domanda che è stata superiore di 10 volte all’offerta? Durata 100 anni, tasso di interesse lo 0,88%, cioè inferiore all’1. E cosa dicono, di fronte a questa realtà operativa, i soloni che hanno bollato la proposta di emissioni irredimibili del presidente della Consob, Paolo Savona, sia pure a titolo personale come economista? Diranno che l’emissione è piccola? Ma l’Austria è piccola e nonostante questo poteva raccogliere 20 miliardi. Venti miliardi che non avrebbero aggravato il debito, che è assolutamente distante dal livello pericolosissimo di quello italiano. Purtroppo, mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si sfianca a predicare la concordia da cui solo può derivare la razionalità che consente di fare valutazioni fondate e oggettive, prevale la discordia, una stupida guerra alle persone, agli schieramenti, alla ricerca, solo dell’interesse personale di chi prende la parola.
Signor Ministro Roberto Gualtieri, che cosa ha pensato quando su Facebook un suo collaboratore avrà letto o sentito nel rilancio di giornali radio Rai e dei telegiornali che il cuneo fiscale tanto richiesto dalle imprese e dai sindacati è stato annunciato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? Ha pensato a uno scippo per promuovere la propria immagine di ministro degli Esteri?
Ma guardi, la mania di apparire è generalizzata, dal capo alla coda. Lei, Signor Ministro Gualtieri, è fra i pochi che non manifestano questa fregola. Sarà che è uno storico dell’economia, sarà che è stato a capo dell’Istituto Gramsci che al di là delle idee non condivisibili era una persona seria e riservata; sarà che ha passato moltissimi anni a Strasburgo fino a meritarsi la stima dei deputati europei di quasi tutti i partiti che l’hanno eletta a lungo alla presidenza della commissione chiave, quella dell’Economia; sarà anche per altre motivazioni, ma lei proietta sicuramente un’immagine di serietà e di riservatezza. Per questo, non stia a sentire chi senza neppure averlo studiato, ricordava che era ancora sul mercato un prestito irredimibile fatto durante la guerra, e non è neppure andato a controllare che il prestito fu emesso quattro anni prima, nel 1935. Cialtronaggine della peggiore specie, mentre Lei sa bene che in Germania si discute quasi ogni giorno, anche sui giornali, del problema del debito italiano. Sa bene che pochi giorni fa il premier olandese Mark Rutte ha ribadito con durezza che l’Italia «deve imparare a fare da sola». Su queste colonne si è dato conto che in una serie di interviste-sondaggi ad alcuni importanti economisti tedeschi, soltanto uno, membro dei cinque consiglieri economici di Angela Merkel, ha concluso che ristrutturare il debito italiano sarebbe un errore. Mentre la maggioranza è per la ristrutturazione entro il 2022, perché «i detentori di titoli italiani, che siano investitori e risparmiatori italiani o stranieri, devono pagare loro il taglio di valore dei titoli perché li hanno sottoscritti avidi del rendimento, senza valutarne il rischio».
Si rende conto, Signor Ministro, che questa linea di pensiero si sta diffondendo pericolosamente in Europa e che pur con la solidarietà proclamata, i soldi all’Italia arriveranno solo a condizioni molto strette? Non si deve fare come gli struzzi, bisogna tenere alta e lucida la testa: i pericoli che l’Italia corre oggi sono enormi, non avendo voluto cogliere il tempo indicato da Mario Draghi, di fare subito, all’esplodere del virus, emissioni a lungo termine per poterle classificare come emissioni di guerra; ora non sono più possibili, perché se la guerra non è finita, certamente si è circoscritta.
E allora, a che cosa serve il Btp Italia futura a 10 anni? Certo sarà ampiamente sottoscritto, ma aggraverà il debito, mentre per sopravvivere nella nuova economia digitale l’Italia ha bisogno da una parte di contenere il più possibile e di tagliare il debito, e dall’altra ha bisogno di capitali per gli investimenti, essendo nei settori della tecnologia fra i Paesi più arretrati in Europa. E quale altra strada ci può essere per raccogliere, senza aumentare il debito, almeno i capitali per gli investimenti? Forza, Signor Ministro, convochi tutti i migliori cervelli economici e chieda loro di proporre un titolo che, certo, costerà di più per un tasso di interesse un po’ più alto degli altri titoli ma che non aumenti il debito. Vediamo se hanno un’idea migliore degli irredimibili, le cui caratteristiche a Lei sono certo note ma che vale la pena di spiegare ai lettori. Irredimibili, cioè non rimborsabili, ma negoziabili sul mercato come ogni altro titolo di Stato od obbligazionario. In genere hanno una durata tale che con il tasso di interesse che garantiscano permettono di avere un rendimento che dopo un certo numero di anni consente di recuperare anche tutto il capitale. Interessati a titoli di questo genere sono sicuramente gli istituti di previdenza, che hanno l’esigenza di un rendimento costante per pagare le pensioni. Ma come è già stato scritto su queste colonne, a emetterli non sono solo gli Stati, ma anche, per esempio, le compagnie di assicurazione. Fino a qualche anno fa c’era sul mercato un irredimibile delle Generali, che essendo agganciato a vari parametri economici era arrivato a un rendimento molto alto e quindi a un costo molto alto per la Compagnia di Trieste, al punto che, avendone diritto (perché questa è una clausola tipica degli irredimibili), le Generali se lo sono ricomprato. Ma intanto per molti anni hanno avuto a disposizione il capitale raccolto con l’emissione senza che aumentasse l’indebitamento. In altre parole, anche l’Italia, che si spera fra alcuni anni non sarà più oberata dal debito più alto in Europa, se volesse potrebbe ricomprarlo sul mercato. Ma intanto per alcuni anni avrebbe evitato di veder crescere il debito fin oltre le stelle.
I soloni dicono: poiché l’indice di indebitamento è un rapporto fra totale debito e pil, basta far salire il pil e l’indice migliora. Con questa teoria, basta che ci sia una crisi di crescita dell’economia, come è avvenuto dal 2008 in poi, e la situazione non fa che peggiorare. E poiché invece di andare in avanti, l’Italia e non solo, con il Covid è andata molto indietro, la risalita sarà molto dura. Quindi ci vogliono capitali e capitali per fare investimenti che generino sviluppo. Ma così come il Paese è combinato, fa esattamente come il cane che si morde la coda.
E poi c’è il problema delle banche italiane in generale, salvo alcune eccezioni: oggi prendono il denaro dalla Bce a un tasso negativo pari al -0,90. Buona parte lo reimpiegano per sottoscrivere titoli di Stato italiani a un tasso dell’1-1,3%. In questo modo non fanno fallire l’Italia; nei loro bilanci, se il tiraggio dalla Bce può arrivare a 300 miliardi, arriva un utile che può essere di almeno 6 miliardi all’anno. Ma se larga parte del denaro che la Bce presta a tasso negativo viene impiegato per sostenere la liquidità dello Stato, a risentirne sono inevitabilmente le aziende, che ora hanno più che mai bisogno di capitali per ripartire.
Signor Ministro ci ripensi, valuti bene la possibilità di un prestito dai 50 ai 100 miliardi che siano interamente destinati agli investimenti, ma evitando il default, perché se si dovesse ristrutturare il debito anche le migliori aziende e le banche del Paese ne risentirebbero pesantemente, come si è già visto in Grecia. E in Italia ci sono aziende straordinarie, con straordinarie potenzialità di sviluppo, che devono essere esaltate, non depresse dal contesto economico.
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Si prenda per esempio Esselunga, la migliore azienda nei supermercati. Dopo la morte del suo fondatore, Bernardo Caprotti, non erano pochi a pensare che l’azienda potesse flettere, anche per i problemi ereditari e la guerra fatta all’azienda dai due figli di primo letto del fondatore, Giuseppe e Violetta, contro la sorella di secondo letto, Marina e sua madre Giuliana Albera. Il confronto si è concluso nella maniera più naturale: Marina e la madre, che avevano ereditato la larga maggioranza, hanno comprato le quote di minoranza di Giuseppe e Violetta.
Il confronto è stato lungo e duro con un approccio molto aggressivo specialmente di Giuseppe, che in passato era stato amministratore delegato dell’azienda poi sostituito dal padre che valutava non lineare la sua azione. Violetta meno presente, vivendo molto a St. Tropez.
Durante il confronto ci sono state molte bordate che avrebbero potuto far vacillare anche la più solida delle aziende americane. Invece, lo sviluppo quantitativo e qualitativo di Esselunga è proseguito e l’idea vincente del fondatore, qualità altissima dei prodotti, organizzazione basata sulla più avanzata tecnologia, è stata esaltata.
Accanto a sé Marina, che è presidente, ha il marito Francesco (Chicco per gli amici) Moncada di Paternò, ex banchiere a Londra ma con l’animo e la migliore sensibilità commerciale anche per prodotti alimentari. È lui, infatti, che ha promosso il successo della mozzarella italiana a Londra, facendola arrivare fino a Palazzo reale. Era il tempo di Lady D, che, assieme a tutta la corte, adorava le mozzarelle importate da Moncada. Un viatico non secondario per chi ora, ogni giorno, assieme alla moglie è nella sede di Limito di Pioltello a gestire un’azienda che non è solo straordinaria dal punto di vista commerciale ma anche della produzione. Esselunga, per esempio, è il più grande produttore di pane d’Italia, con oltre 140 forni. Sviluppando l’idea del fondatore di mettere davanti a tutto la qualità, l’azienda produce moltissimo di quello che vende: dai cibi pronti all’altissima pasticceria. Nei dolci una sfida silenziosa è nei confronti della francese Ladurée, mitica per i macaron. La maggior parte di quelli Ladurée sono prodotti a Hong Kong e distribuiti in tutto il mondo con uno speciale sistema di congelamento. I macaron di Esselunga sono prodotti tutti nella sede di Limito di Pioltello.
È bello vedere, dopo un padre e un suocero, grande imprenditore anche nella sua durezza e guerra al dominio comunista in alcune parti d’Italia (mitico il libro che scrisse, Falce & Carrello, per le limitazioni che i comuni rossi gli imponevano per favorire le Coop), la passione con cui gli eredi vogliono essere degni del fondatore.
Durante il duro confronto fra gli eredi, da parte della minoranza sono state alimentate molte voci sulla volontà che la maggioranza avrebbe avuto di vendere; chiusa la partita sono state alimentate voci della volontà di quotare in Borsa la società per recuperare il prezzo pagato alle minoranza. «Non vendiamo e non ci quotiamo, e non perché la Borsa sia il diavolo, ma semplicemente perché l’azienda ha una potenzialità di sviluppo straordinaria e a noi piace essere qui, a Limito, ogni mattina, per gestire lo sviluppo e il miglioramento in prima persona, seguendo la linea del fondatore». Marina e suo marito parlano all’unisono. E non hanno realmente nessuna intenzione, ora che la proprietà è stata riunificata, di avere dei soci, sia pure finanziari in Borsa.
È positivo vedere l’interesse a proseguire nella strada tracciata, ma sempre con l’obiettivo del miglioramento e dello sviluppo. Quante buone aziende italiane, specialmente nel Nordest ma non solo, si sono perse perché al lavoro i figli hanno preferito il denaro. E quelli, non molti, che hanno scelto la Borsa, lo hanno fatto perché avevano bisogno di liquidare parenti e soci. Esselunga ha emesso un prestito obbligazionario con un tasso che se fosse possibile ottenere per il debito italiano, il rischio Paese sarebbe quasi inesistente.