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 2020  luglio 04 Sabato calendario

Promesse, rimborsi e scandali: i brand si giocano la fiducia

Per alcuni analisti si è trattato di un déjà vu. Perché questo caldo inizio d’estate ha riportato alla memoria l’autunno altrettanto infuocato di dodici anni fa. In quel caso si trattava del crac finanziario di Lehman Brothers, la più grande bancarotta americana che è riuscita a superare il primato di WorldCom nel 2002 con un annuncio a sorpresa di debiti bancari per 613 miliardi di dollari e debiti obbligazionari per 155 miliardi. Quelle immagini dei dipendenti intenti a lasciare gli uffici con le scatole di cartone sono entrate di fatto nella storia. In questo caso, con dimensioni più contenute, dall’America ci spostiamo all’Europa continentale alle prese con l’insolvenza di Wirecard, colosso tedesco di transazioni finanziarie finito nell’occhio del ciclone per un ammanco di cassa da 2 miliardi di euro e un utilizzo fraudolento dei fondi asiatici. E pensare che la storia doveva prendere tutta un’altra piega: la società venne fondata nel 1999 per rompere il monopolio americano nei pagamenti elettronici. Poi nel 2005, l’ingresso trionfante nel mercato azionario di Francoforte e ad agosto di due anni fa il picco delle azioni con 191 euro, un valore di mercato di oltre 24 miliardi di dollari e più di cinquemila dipendenti. «Il congelamento delle risorse di Wirecard ha lasciato le persone vulnerabili e ci ha riportato alla centralità del patto fiduciario tra cliente e azienda», ha argomentato Hilary Osborne sul Guardian. Tutto parte da Aschheim, sobborgo tedesco di quasi settemila anime nel land della Baviera, headquarter di quella che doveva essere la risposta europea alla Silicon Valley. Invece da qui è partita una crisi che ha lambito vari Paesi, Italia compresa. Da noi la disavventura ha coinvolto oltre 300mila utenti di SisalPay, prima proximity banking company italiana. I correntisti si sono visti bloccare la carta di pagamento dalla sera alla mattina. E tutto questo all’inizio di un weekend di fuga nei lidi marittimi e nelle località di montagna. Ma la società, nonostante la totale assenza di responsabilità, in poche ore si è assunta direttamente l’onere finanziario, facendosi carico di restituire immediatamente le somme di denaro congelate. Un’iniziativa con un piano di copertura economica del valore di oltre 20 milioni di euro.
Dare risposte concrete, serie, affidabili, soprattutto in un contesto di mercato così disorientante dopo la crisi sanitaria ed economica legata al virus pandemico. In fondo la chiave per posizionarsi e vincere in uno scenario mutevole è tutta incentrata sulla fiducia. 
Tra fiducia e infedeltà
Benvenuti nel trust marketing, teoria basata sulla costruzione di relazioni con i consumatori attraverso un dialogo affidabile e informazioni imparziali. Un concetto messo nero su bianco già trent’anni fa da Glen Urban, docente ed ex decano della MIT Sloan School of Management. «Il marketing basato sulla fiducia si concentra sulle tecniche di difesa dei clienti che aiutano i consumatori a prendere decisioni di acquisto informate basate su opzioni complete del mercato e su una consulenza equa. Essere onesti e aperti è la strada migliore per costruire la fiducia dei consumatori e creare una base di clienti più fedele», ha argomentato lo stesso Urban in un’intervista all’Harvard Business Review. Evolve così drasticamente la relazione tra consumatore e brand. «Nei mercati competitivi le aziende devono avvicinarsi ai propri clienti con rispetto e riconoscere che le informazioni sul prodotto e sulla concorrenza sono facilmente accessibili. Le aziende che offrono ai consumatori opzioni di prodotto complete, comprese quelle dei loro concorrenti, guadagneranno la fiducia del consumatore anche se non si traduce in una vendita immediata», precisa Urban.
Nasce così un patto dei forti, cioè un’alleanza tra dipendenti, clienti, fornitori. Un fenomeno che viene messo a dura prova in questa fase fluttuante: poche settimane fa la stessa Nielsen ha evidenziato come soltanto l’8% dei consumatori possa definirsi fedele ad un brand. La sfiducia passa dall’uso (e abuso) dei dati: secondo una ricerca di Microsoft – si tratta di un rapporto globale che comprende 16 Paesi nel Nord America, Sud America, Europa, Asia e Africa – solo il 24% dei consumatori vede il valore della personalizzazione come il risultato della condivisione dei dati e solo il 15% ritiene di ottenere un vantaggio dalla concessione dell’accesso ai propri dati. Ad essere minata è anche quella fiducia declinata anche attraverso la testimonianza di terze parti autorevoli. «Negli anni passati le aziende creavano fiducia chiamando gli esperti. Le compagnie del tabacco si sono vantate persino che 9 medici su 10 raccomandano il fumo. Lo racconta una storica campagna pubblicitaria di Lucky Strike. Oggi sembra surreale, ma era una strategia pubblicitaria legittima e che funzionava per davvero», ha raccontato a Forbes lo stratega del marketing Matthew Tyson. La fiducia passa anche per la faccia di manager e top manager: è quanto si sta registrando in un comparto piegato dal virus globale, quello aereo. Così alcuni vettori per riprendere il volo hanno deciso di far scendere in campo il volto tranquillizzante ed esperto delle guide d’azienda: «Da oltre un decennio siamo preparati per uno scenario del genere. Questo per noi significa essere pronti per una serie di eventi, compresi focolai epidemici virali. E non è la prima volta che affrontiamo situazioni simili. Oggi abbiamo perfezionato le procedure operative e imparato nel migliore dei modi a far circolare aria pulita e fresca nei nostri aerei con filtri tecnologicamente avanzati». Così Ed Bastian, CEO di Delta Airlines, ha inviato una mail a tutti i clienti, evidenziando politiche e procedure per gestire questa fase emergenziale. 
La fiducia prima di tutto
Dalla fiducia messa in discussione alle tecniche che consentono un suo rafforzamento: così il marketing studia campagne, formati, messaggi, toni di voce che possano tranquillizzare e allo stesso tempo spingere all’azione, in quell’intention to buy – ossia l’intenzione all’acquisto da parte del consumatore – che oggi viene considerato dai marketer una chiave di successo per una campagna. «Occorre assicurare centralità al consumatore e alle sue sensazioni. Questo fa bene al brand, ne sviluppa il valore e ne aumenta il grado di accettazione. Ma quello che è emerso in questa fase è una mancanza di idee nella definizione delle campagne. Il brand è un sistema di responsabilità verso la domanda di riferimento. Tradire la fiducia della domanda con comunicazioni stereotipate, prive di un potere evocativo oppure con comportamenti predatori non può che pregiudicare non solo il brand stesso, ma anche la capacità di sopravvivenza dell’impresa», afferma Angelo Di Gregorio, docente di management e direttore del Criet A certificarlo è anche un’indagine in corso del Criet-Università Bicocca su un campione di 375 aziende che investono in comunicazione in Italia: il 55,9% dei rispondenti considera la scelta dei contenuti adottati uno dei tre fattori maggiormente critici da quando si è manifestata la pandemia, insieme alla gestione della tempistica e della normativa. «L’emergenza è stata affrontata da molte imprese con un approccio meramente opportunistico, senza rendersi conto che la mancanza di attenzione alle caratteristiche e alle attese del proprio target si ritorce pressoché sempre contro il brand, ricucendone la capacità evocativa anche una volta che sarà passata l’emergenza», precisa Di Gregorio. La maggiore fiducia però potrebbe arrivare proprio da un marketing basato sull’ascolto. Ne è convinto Di Gregorio. «Se guardiamo alla nuova normalità post Covid-19, alla legacy che questa pandemia lascia alle imprese italiane, il messaggio è quello di incominciare a ripensare il marketing come funzione aziendale centrale per assicurare stabili mercati di sbocco».