La Stampa, 4 luglio 2020
Zero virgola settantasei
Forse vi interesserà sapere che da una settimana, fra numerosi dibattiti, il più acceso nel governo è sull’abuso d’ufficio. Vi prego, non scappate. Non lasciatevi ingannare dall’espressione “abuso d’ufficio”, abbiate fiducia e arrivate in fondo. Insomma, da una settimana si dibatte sull’opportunità di ritracciare i confini del reato, e se sì come tracciarli, fino a dove, e tira di qui, tira di là, chissà che non ce la facciano. Non è nemmeno facile, perché un giorno interviene lo sconcerto di magistrati di grido, orientati dal faro della moralità, a dire che così gli si lega le mani. Il giorno dopo interviene lo sbigottimento dell’Anticorruzione, orientata dal faro della legalità, a dire che tutto sommato le cose possono restare come sono. Il giorno appresso è la Corte dei conti, il successivo l’Associazione del pincopallo, ognuno col suo fardello di indisponibilità a una simile ingiuria alla rettitudine dello Stato. Badate, è una questione delicata. Fosse solo l’ultima settimana: ci si gira attorno da qualche lustro, siccome al sindaco o all’assessore basta scansare il cinquantesimo timbro dopo averne apposti quarantanove e se la dovrà vedere col braccio inflessibile della giustizia. Vi pare un’esagerazione? Sentite qua: secondo gli ultimi dati (Istat e governo), nel 2016 gli indagati per abuso d’ufficio sono stati seimila e novecentosettanta. Nel 2017, seimila e cinquecentottantadue. Totale dei due anni, tredicimila eccetera, oltre diciotto indagati al giorno, comprese domeniche, Natale e Ferragosto. Condannati? Quarantasei nel 2016, cinquantasette nel 2017, pari allo 0,76 per cento del numero degli indagati. Domandina: di chi è l’abuso? —Forse vi interesserà sapere che da una settimana, fra numerosi dibattiti, il più acceso nel governo è sull’abuso d’ufficio. Vi prego, non scappate. Non lasciatevi ingannare dall’espressione “abuso d’ufficio”, abbiate fiducia e arrivate in fondo. Insomma, da una settimana si dibatte sull’opportunità di ritracciare i confini del reato, e se sì come tracciarli, fino a dove, e tira di qui, tira di là, chissà che non ce la facciano. Non è nemmeno facile, perché un giorno interviene lo sconcerto di magistrati di grido, orientati dal faro della moralità, a dire che così gli si lega le mani. Il giorno dopo interviene lo sbigottimento dell’Anticorruzione, orientata dal faro della legalità, a dire che tutto sommato le cose possono restare come sono. Il giorno appresso è la Corte dei conti, il successivo l’Associazione del pincopallo, ognuno col suo fardello di indisponibilità a una simile ingiuria alla rettitudine dello Stato. Badate, è una questione delicata. Fosse solo l’ultima settimana: ci si gira attorno da qualche lustro, siccome al sindaco o all’assessore basta scansare il cinquantesimo timbro dopo averne apposti quarantanove e se la dovrà vedere col braccio inflessibile della giustizia. Vi pare un’esagerazione? Sentite qua: secondo gli ultimi dati (Istat e governo), nel 2016 gli indagati per abuso d’ufficio sono stati seimila e novecentosettanta. Nel 2017, seimila e cinquecentottantadue. Totale dei due anni, tredicimila eccetera, oltre diciotto indagati al giorno, comprese domeniche, Natale e Ferragosto. Condannati? Quarantasei nel 2016, cinquantasette nel 2017, pari allo 0,76 per cento del numero degli indagati. Domandina: di chi è l’abuso?