Robinson, 4 luglio 2020
Sul nuovo romanzo di David Leavitt
Dickens e Tolstoj lo hanno dimostrato: l’incipit dev’essere fulminante e contenere in sintesi il clima della storia. «Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?» : è questo l’interrogativo che apre Il decoro, nuovo libro dello statunitense David Leavitt che esce in Italia per Sem (traduzione di Fabio Cremonesi e Alessandra Osti). La domanda è rivolta ai suoi ospiti da Eva, una delle figure principali del Decoro, la cui storia inizia in una villa del Connecticut pochi giorni dopo l’elezione presidenziale. Il trionfo di Trump ha scioccato i progressisti newyorchesi riuniti nel fastoso rifugio campagnolo. È la catastrofe più orrenda dei loro destini di ” liberal” intellettuali e ricchi. Atroce, per quest’élite riflessa in schemi netti di estetica e di pensiero, sarà la sfida politica e morale che implica l’avere a capo del Paese quel biondone arrogante.
Il perché di quanto è avvenuto lo spiega Alec, un vicino di Bruce. Quest’ultimo è il marito di Eva, scrittrice che progetta testi senza riuscire mai a realizzarli. È Bruce il vero protagonista del Decoro.
Cinquantenni colti ed eleganti, come lo sono tutti nella loro cerchia, Bruce ed Eva non hanno figli e adorano i propri tre cani. Bruce li porta a spasso di notte, e sui marciapiedi di Park Avenue o di Madison incontra Alec, che ha votato per Trump e non se ne vergogna. «È rozzo, ma un rozzo dei nostri», confessa a Bruce. «I tipi come Donald li conosco da tutta la vita». Reputa Trump «una pacchianata pazzesca», però afferma sollevato: «Capisco come funziona il suo cervello». L’amazzone Hillary sarebbe stata invece una minaccia oscura.
Animano Il decoro personaggi espressi da un fiume inarrestabile di dialoghi, nel senso che Leavitt monta l’ingranaggio costruendo intere pagine di virgolettati a raffica. Accadimenti e incontri si desumono spesso da una sterminata chat letteraria scandita da pettegolezzi, opinioni e confidenze. Tale grammatica strutturale sembra ispirarsi a quella di Rachel Cusk, autrice della trilogia di Outline, vista nel mondo anglofono come una rivoluzione dell’impianto romanzesco. Sull’onda del medesimo stile, parlato in continuazione, l’intreccio di voci messo in scena da Leavitt espone luoghi attraenti, banalità quotidiane, angosce sul futuro, dichiarazioni sui valori democratici, chiacchiere sui guasti dell’eros… Un argomento ritornante e noioso è l’acquisto di un appartamento a Venezia, molto desiderato dall’algida Eva. Per lei rappresenta un’eventuale fuga dalla realtà di un’America ormai dominata dalla volgarità trumpiana. Bruce, che lavora nell’alta finanza con fortuna e guadagni, ha un’indole più elastica e affettiva rispetto a quella della moglie, di cui subisce infelicemente la tensione chic, la vagina inaccessibile poiché troppo piccola e i costosi capricci veneziani. Per rintracciare sprazzi di umanità, Bruce si occupa in segreto della segretaria Kathy, che ha scoperto di avere un cancro ed è stata piantata dal consorte. L’accudimento di Kathy provoca in Bruce commozioni e struggimenti, tramite i quali focalizza per la prima volta dentro di sé certi caldi stati emotivi. È questa disposizione che lo conduce a innamorarsi dell’amica Sandra, appena separatasi dal marito e ben penetrabile da ogni punto di vista.
Intanto Eva nutre il chiodo fisso della dimora a Venezia, e uno dei temi delle ossessive conversazioni di questa comedy of manners del Ventunesimo secolo, percorsa da una vena satirica, è l’ansia manifestata dalla frigida signora di far rimodellare la propria residenza veneziana da Jake, arredatore gay che si diletta in amori virtuali con maschi feticisti.
Perciò il titolo del romanzo non allude solo alla mancanza di decoro di Trump, ma anche alla decorazione delle case. L’argomento degli arredi s’inserisce nel racconto dando ai nostri eroi una cornice esistenziale effimera, fondata sugli input della moda. Questo loop di false certezze ingloba pure l’ambito della letteratura: emblematico è un dibattito sulla «manica di segaioli» raggruppante i vari Jonathan ( Franzen, Lethem e Safran Foer), che sono impegnati nella narrazione per mestiere. Non si risparmiano frecciate e citazioni.
Nato nel ’61 e molto affermato, David Leavitt esordì nella scrittura giovanissimo, ottenendo successo come esponente di riferimento del minimalismo americano. Poi ha indotto a respirare la sua prosa ben al di là della corrente di partenza, firmando l’affresco de La lingua perduta delle gru, il bellissimo Il matematico indiano ed altro. Questo suo Decoro pare una ricerca di passaggio, una tappa riflessiva sui paradossi della contemporaneità e un rito indagatorio che vuol viaggiare nelle contraddizioni dei privilegiati, nel nucleo misterioso dello scrivere e nei blocchi che comporta ( ne soffre Eva, sterile in ogni campo) e nel vuoto che assume la forma quando si lascia tramutare in sostanza.