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 2020  luglio 04 Sabato calendario

Rendiamo giustizia alla Fornarina

Raffaello amò molto le donne, le amò al punto da morirne secondo quanto racconta Vasari nella sua biografia. «Il quale Raffaello attendendo in tanto ai suoi amori così di nascosto, continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne che una volta fra l’altre disordinò più del solito perché tornato a casa con una grandissima febbre fu creduto dai medici che fosse riscaldato (…) loro gli cavarono sangue, di maniera che indebolito si sentiva mancare, laddove egli aveva bisogno di ristoro». Aveva soli 37 anni. Il pettegolezzo raccolto dal Vasari era troppo ghiotto perché nei secoli successivi non nascesse e si consolidasse una leggenda che ci ha consegnato perfino l’indirizzo (ce ne sono tre per la verità) di Trastevere dove la bella Margherita figlia di un fornaio, visse fino alla morte di Raffaello, dopodiché come in un melodramma verdiano si sarebbe ritirata in convento.
La storia dell’arte ha dato il suo contributo a questa leggenda nera identificando Margherita in un celeberrimo quadro. Tra i primi ad associare il ritratto Barberini alla mitica figlia del fornaio di Trastevere fu una donna, lady Ann Miller, certamente colpita dalla passionalità degli italiani, che nel descrivere il dipinto nel 1776 lo dice della sua «favourite Mistress for whom he died». Il ritratto che in realtà ritrae la giovane nella posa di una Venere classica, mostra una ragazza bellissima dai grandi occhi scuri e dalla bocca piccola e carnosa. Il suo stile lo collocherebbe molto prima della morte di Raffaello: è una pittura levigatissima, quasi smaltata, con una cura calligrafica dei particolari, tipica delle prime opere dell’Urbinate.
Ma anche gli storici dell’arte sono sensibili al mito e hanno ipotizzato che il quadro sia stato dipinto nell’ultimo periodo dell’artista (1518) proprio per assecondare la leggenda nera che lo circonda. L’errore di datazione è evidente e si percepisce a occhio nudo nella mostra in corso alle Scuderie del Quirinale dove La Fornarina è esposta accanto alla Velata : quest’ultima esibisce la pastosità tipica del tardo stile del maestro, eppure la prima viene collocata addirittura sei anni dopo questo ritratto.
L’evidenza stilistica non è riuscita a smentire la forza di una leggenda tanto romantica secondo la quale Raffaello non poteva fare a meno neppure un giorno di questa donna tanto che Agostino Chigi suo amico e committente fu costretto a ospitarla in casa quando l’artista lavorò per lui nella Villa Farnesina in Trastevere.
Ora arriva un colpo di scena dai ponteggi del restauro appena concluso del ciclo delle Sibille di Raffaello in Santa Maria della Pace a Roma, un colpo di scena che potrebbe scagionare la bella Fornarina dall’accusa di omicidio colposo che senza mezzi termini le rivolge la lady inglese e dopo di lei quasi tutti i pittori e gli scrittori europei.
Tra le Sibille appena restaurate ce n’è una che appare troppo simile nella sua fisionomia al dipinto di Palazzo Barberini per non testimoniare che la modella che ispirò il quadro e l’affresco fu la stessa donna (forse) amata dal pittore, ma non alla fine dei suoi giorni, bensì molto prima, tra il 1511 e il 1514, la data di esecuzione del ciclo della Pace. Benché prestati ad un solenne volto di Sibilla e non ad una maliziosa Venere nuda, i lineamenti delle due figure sono troppo simili per non identificare nella stessa persona la modella ritratta dall’artista. Gli occhi grandi e neri la bocca carnosa e il naso lungo e dritto, sotto il perfetto arco sopracciliare, l’ovale triangolare, il piccolo mento perfettamente rotondo, rendono facilmente riconoscibile la ragazza amata da Raffaello. Del resto Vasari riferisce che l’amore incontenibile scoccò tra il pittore e la modella ai tempi dell’esecuzione della «prima loggia» di Agostino Chigi, quella della Galatea realizzata negli stessi anni dell’affresco delle Sibille. La somiglianza dei due ritratti impone una rettifica della leggenda nata intorno a questa giovane ragazza che nell’affresco gira la testa con espressione malinconica mentre dalla tavola sorride con aria maliziosa coprendosi il seno. Non sappiamo se fu davvero l’amante di Raffaello che Agostino si prese in casa ma certo non ne fu la causa della morte: se amore ci fu, scoccò molti anni prima. E appare molto improbabile che sia durato fino agli ultimi giorni del maestro di Urbino. Il ritratto Barberini ora forse potrà finalmente essere collocato congruamente intorno alla fine del primo decennio del Cinquecento, negli anni che videro affermarsi il trionfo artistico e sociale di Raffaello. E al mito della Fornarina potrà aggiungersi un altro capitolo: quello di un’assoluzione tardiva dopo un’ingiusta condanna.