la Repubblica, 4 luglio 2020
L’ultima beffa di Graziano Mesina
Forse voleva salvare la sua reputazione di uomo d’orgoglio e di coraggio, di balente di Sardegna. O forse ha solo pensato che con un coup de théâtre avrebbe potuto cancellare il suo recente passato da soubrette televisiva (una comparsata all’Isola dei Famosi) e da pittoresca guida turistica per i sentieri del Gennargentu. In ogni caso, alla soglia degli ottant’anni, ha preso la decisione migliore per mantenere un po’ di antica dignità: bandito sino alla fine, bandito per sempre.
Che personaggio strambo e inquietante questo Grazianeddu, Graziano Mesina, stagionato e insieme modernissimo, latitante ancora una volta dopo quasi mezzo secolo passato in carcere e dopo avere riempito per qualche decennio le cronache dei giornali italiani con sequestri di persona e fughe dalle prigioni,con mediazioni e trattative con lo Stato e con il (falso, falsissimo) mito da Robin Hood che si è cucito addosso per esigenze di spettacolo. Da ieri è tornato sul bollettino dei ricercati del ministero dell’Interno, alla vigilia della condanna definitiva a 30 anni di reclusione della Cassazione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. È scomparso dalla sua Orgosolo, profonda Barbagia dove viveva a casa delle sorelle Peppedda e Antonia. È tornato quello che è sempre stato nell’immaginario collettivo: primula rossa, latitante. Come da copione: re del crimine. Tutto marketing.
Alla faccia della narrazione epica che ha accompagnato le gesta di questo bandito quasi trasformato nel testimonial di una Sardegna che non c’è più, un malvivente di paese alimentato da un giornalismo sciatto che l’ha fatto diventare eroe da quando – penultimo dei dieci figli di un pastore – nel 1956 fu fermato per il furto di un fucile e da lì una fuga dopo l’altra da caserme e carceri. Sassari. Lecce. Nuoro. Poi il salto nel grande delitto, i sequestri di persona, lui che si fa riprendere a viso scoperto in montagna con il mitra in mano. La taglia del ministero dell’Interno sin dalla fine degli Anni Sessanta per la sua cattura, prima 5 milioni e poi 10.
Lui latitante, «camuffato con parrucche» per raggiungere le amanti stregate dal suo carisma. Lui che s’intrufola allo stadio Sant’Elia per non perdersi i gol di «Rombo di Tuono», Gigi Riva. Lui latitante che – si dice – incontra Giangiacomo Feltrinelli, l’editore che lo immagina come un Che Guevara sardo e sogna la sua isola come una Cuba nel Mediterraneo.
Grazianeddu gioca con tanti mazzi di carte, tratta in segreto per la liberazione del piccolo Farouk Kassam e ne fa pubblico annuncio. Niente dice mai però dei suoi rapporti con il vecchio Sifar, il servizio segreto militare sciolto dopo scandali e sospetti. È un bandito dell’Italia più misteriosa dove i banditi sono un po’ banditi e un po’ spioni, un piede di qua e un piede di là. Il presidente Cossiga si ritrova una domanda di grazia sul tavolo ma Giovanni Falcone – che nel novembre del 1991 è direttore degli Affari penali al ministero di Grazia e Giustizia – si oppone e motiva: «...Tali ragioni non sembrano, allo stato, sussistere per il Mesina». La grazia non arriva neanche con Scalfaro ma, il 24 novembre del 2004, la firma Ciampi. Il ministro degli Interni Beppe Pisanu, «da sard o», è commosso: «Si conclude un duro itinerario di redenzione umana e riscatto sociale che riconsegna Graziano Mesina alla condizione di uomo libero».
Poi le nuove accuse, il traffico di stupefacenti. Poi ancora il carcere e l’attesa della sentenza della Suprema Corte. Da oggi nel bollettino dei ricercati c’è lui insieme a un altro bandito sardo che è latitante dal 1997, Attilio Cubeddu da Arzana, Ogliastra. Il prima e il dopo che si mischiano.
La leggenda. I banditi sardi hanno sempre avuto ammiratori. Come quel Sebastiano Satta, avvocato penalista di Nuoro, amico dei socialisti sassaresi, giornalista e scrittore che quasi un secolo fa alle gesta degli avi di Mesina e Cubeddu dedicò un canto barbaricino: «Incappucciati, foschi, a passo lento, tre banditi ascendevano la strada.. ai banditi piangea la nostalgia. E mesti eran, pensando al bun odore. Del porchetto e del vino, e all’allegria. Del ceppo, nelle lor case lontane». Retorica di altri tempi. Grazianeddu è furbo come una volpe.