3 luglio 2020
Le giravolte di Stampubblica sul Caimano
Non possiamo sapere se il Capo dello Stato, nella sua infinita magnanimità, accoglierà o meno la richiesta di nominare Silvio Berlusconi senatore a vita, perorata dall’ex giornalista Vittorio Feltri che s’è appena dimesso polemicamente dall’Ordine professionale e ha promosso una raccolta firme per riabilitare l’ex Cavaliere. C’è da dubitare che il presidente Mattarella, uno dei cinque ministri della sinistra democristiana che trent’anni fa lasciò l’incarico in dissenso sulla legge Mammì con cui Craxi e Andreotti elargirono l’immunità televisiva a Sua Emittenza, voglia concedere il laticlavio al leader redivivo di Forza Italia: se non altro in forza di quell’articolo 54 della Costituzione secondo cui chi svolge funzioni pubbliche deve adempierle con “disciplina e onore”. E questo non è certamente il caso del Nostro.
Sappiamo, tuttavia, che intanto l’ex Cavaliere è stato già nominato senatore a vita da “Stampubblica”, il giornale di casa Fiat guidato da Maurizio Molinari, proprio quel giornale che a suo tempo condusse la campagna mediatica contro gli usi e gli abusi, gli affari e i malaffari, i costumi e i malcostumi del regime berlusconiano. Lo stesso giornale che, sotto la direzione di Ezio Mauro e l’impulso di un cronista di razza come Giuseppe D’Avanzo, formulò le famose “dieci domande” sugli scandali sessuali che inchiodarono il Caimano alle sue responsabilità, coinvolgendo giovani donne come Noemi Letizia, Patrizia D’Addario e Ruby Rubacuori. Una campagna di stampa che mobilitò un’ampia area dell’opinione pubblica, aggregando giornalisti e intellettuali, giuristi, costituzionalisti, lettori e lettrici, cittadini comuni.
A quell’epoca, l’ex premier si rifiutò per 175 giorni di rispondere a Repubblica, ma alla fine si affidò a un collaudato e compiacente cerimoniere della televisione pubblica come Bruno Vespa. Oggi, invece, a vent’anni di distanza, Berlusconi accetta di parlare con “Stampubblica” per rimestare l’acqua sporca nel mortaio della giustizia, riesumando la registrazione postuma di un magistrato defunto che sottoscrisse la sentenza di condanna nei suoi confronti per frode fiscale e ora lo riscatterebbe – come in una seduta spiritica – quale vittima designata di un complotto, a cui contraddittoriamente quello stesso magistrato avrebbe partecipato. Dopo aver “oscurato” il primo giorno la montatura giornalistica contro la presunta macchinazione giudiziaria, l’indomani il giornale di Molinari s’è preoccupato di interpellare l’ex Cavaliere, per consentirgli di immolarsi sull’altare mediatico nei panni dell’agnello sacrificale e di “sparare” sulla Cassazione. E tentare così di rifarsi un’immagine e un’identità, come in un’operazione chirurgica di plastica facciale, non potendo più rifarsi evidentemente una verginità.
Con tutto il rispetto per Scalfari e Mauro, in questo momento il pensiero corre in primo luogo alla memoria di D’Avanzo: ci ha lasciato il cuore e la vita, il povero Peppe, in quella vicenda torbida e ambigua. Ma chissà quanto urlerebbe fino a far tremare i vetri lo storico condirettore di Repubblica, Gianni Rocca, un altro indomito collega che a quel giornale ha dato l’anima fin dall’inizio, come e più di tanti altri. E che cosa direbbero o scriverebbero l’intransigente giurista Franco Cordero, l’irriducibile Paolo Sylos Labini, i promotori (autentici) di Libertà e Giustizia, l’amica Sandra Bonsanti… La verità è che, consapevolmente o meno, “Stampubblica” marca in questa occasione la sua distanza siderale dal prototipo originario: un modello di giornalismo che sta come una Ferrari a una Duna, per usare un paragone forse più comprensibile ai colleghi di casa Fiat.