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 2020  luglio 03 Venerdì calendario

L’arte riparte da Ai Weiwei e dai suoi fratelli

Eppure si muove. Il mondo dell’arte, avvezzo all’ipercinetismo costante nel circuito internazionale di fiere e feste, aste e biennali, era apparso semicongelato dal lockdown globale imposto dal dilagare del coronavirus. L’arte – e il suo mercato – in realtà hanno imparato presto a rompere il ghiaccio. Prendiamo One, l’asta annunciata da Christie’s, il prossimo 10 luglio: una maratona di vendite, in sala e online, dedicata all’arte del XX secolo che correrà lungo i fusi orari per l’intera giornata, da Hong Kong a Parigi, da Londra a New York. All’incanto capolavori di Calder, Modigliani, Barnett Newman e la versione F della mitica serie dedicata alle Femmes d’Algers di Pablo Picasso, omaggio all’omonimo dipinto di Delacroix e alle odalische dell’amico Matisse. Insomma, anche il mercato ha imparato a essere creativo. E si avvantaggia, a sorpresa, di uno smanioso revenge shopping: da Sotheby’s un trittico di Francis Bacon ha superato gli 80 milioni di euro e una recente asta online ha superato ogni record nelle vendite telematiche. 
Gli artisti, da parte loro, si sono prodotti in fughe in avanti. Dalle mascherine d’arte e protesta sociale di Ai Weiwei ai social invasi da opere di ogni tipo dalla performance all’arte elettronica, fino al selfie della scultrice tedesca Janine von Thungen che si è ritratta con un’opera portata in spalla nel giardino della sua casa romana. Con il progetto #iwalkmyart (porto a spasso la mia arte) l’artista ha invitato colleghi e collezionisti a far prendere un’ora d’aria alle proprie opere portandole con sé nella schiusura della fase 2. L’idea ha anche un versante virtuale, con la creazione di musei personali e aperti: si prende il quadro, la fotografia, la scultura, l’installazione preferita dal sito di una collezione chiusa o ad accesso limitato e la si trasporta digitalmente in un luogo congeniale. 
Potremmo chiamarla invece una metafora di resistenza quella delle bandiere d’artista spiegate al vento davanti al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci a Prato (ora esposte all’interno del museo, di recente riaperto al pubblico, fino al 13 settembre). Sul pennone bianco ne sono state issate una decina, una diversa a settimana, stendardi firmati da Eva Marisaldi, Franco Favelli e Marinella Senatore, tra gli altri. Il museo Macro di Roma punta direttamente al cielo con una mostra, ideata dal nuovo direttore Luca Lo Pinto, in cui i verbi dell’artista concettuale Lawrence Weiner voleranno sul litorale laziale, dal 16 al 25 agosto, in striscioni trainati da aeroplani da turismo. 
«La pausa forzata dalla pandemia per il sistema dell’arte è servita anche per ripensare ad assetti, relazioni e strategie. Di sicuro ha permesso di sperimentare le piattaforme digitali che si sono dimostrate efficaci e hanno evitato l’isolamento» ragiona Cristiana Perrella, direttrice del Pecci. «C’è un’enorme potenzialità nel medium digitale. Penso, in un futuro prossimo in cui sarà forse più difficile viaggiare, a gemellaggi tra musei e pareti interattive che li connettano». 
Dalle proiezioni provocatorie del collettivo cileno DeLight sui palazzi pubblici di Santiago alle «opere dell’isolamento» create da un gruppo di artisti che va da Yoko Ono a Francesco Vezzoli per il magazine Artforum, i tentativi per rompere l’accerchiamento del virus sono molteplici. «L’unica maniera è diventare più virali del virus» motteggia l’artista Ciriaco Campus - noto per le sue beffe passate, tra cui un falso villaggio delle Nazioni Unite nei giardini di Castel Sant’Angelo – che sta caricando sulla rete il lavoro di una vita. 
Jenny Holzer, celebre per le sue scritte luminose, ha richiamato gli artisti all’uso dell’oltraggio per denunciare le ipocrisie della politica durante il contagio. Alle opere esposte sui balconi dagli artisti berlinesi hanno fatto eco le cartoline che artisti di tutto il mondo hanno spedito all’Accademia di Belle Arti di Varsavia, a seguito dell’appello a una mail art del lockdown da parte del direttore Pawel Nowak. E vanno in scena pure duelli d’infermiere, da quella pulp di Richard Prince all’asta per 4 milioni di euro alla Super Nurse dipinta dal graffitaro Fake su un muro di Amsterdam. 
«Per ora vedo idee in ordine sparso, più che una strategia comune di uscita» dice il critico Gabriele Simongini che ha in cantiere due mostre a Roma per il prossimo autunno, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e a Palazzo Cipolla. «Tra le ipotesi più interessanti c’è l’uso di tecnologie come la realtà aumentata, per mettere un’opera esposta in relazione con gli artisti che ne sono stati ispirati e le opere che hanno ispirato il suo autore». Le app dedicate all’arte aumentata si sono moltiplicate: Eyejack, Artivive, Art.augmented, tra le tante. 
Il fattore digitale ha reso più agile e resiliente il sovralimentato e gerarchico mercato del bello? Fiere kolossal quali Art Basel hanno aperto subito i loro stand virtuali. Ma anche una fiera di galleristi indipendenti come Nada è scesa nell’arena elettronica. «Abbiamo partecipato all’edizione virtuale di Basel a Hong Kong» racconta Maurizio Rigillo, uno dei tre fondatori di Galleria Continua, che dalle torri di San Gimignano è diventata la più globale delle gallerie italiane. «Le gallerie hanno risentito della contrazione del mercato più delle aste. Ora bisogna ricostruire puntando sugli artisti. Presenteremo mostre a tema, come una serie di disegni di Carlos Garaicoa , un’analisi poetica del mutamento degli spazi urbani durante la quarantena. E porteremo la grande arte contemporanea nel territorio, tra i borghi toscani, come abbiamo sempre fatto». 
Dai resti del Covid potrebbe nascere un nuovo collezionismo: a Washington lo Smithsonian ha inviato una task force di curatori a cercare artefatti per documentare la pandemia in una mostra; i prossimi objets trouvés da ricomporre in assemblaggi, sulla scia di Duchamp, saranno guanti e mascherine, liste della spesa autografe, kit seriologici e respiratori.