Corriere della Sera, 3 luglio 2020
Gli 80 anni di Antonio Matarrese. Intervista
Antonio Matarrese, domani taglierà il traguardo degli 80 anni. Come e dove festeggerà?
«Come sempre. A Bari, in famiglia. La festa migliore che possa esserci».
Mentre spegnerà le candeline, ci sarà con lei qualche amico del mondo del calcio?
«So solo che alcuni personaggi del calcio, di ieri e di oggi, mi stanno preparando in segreto una sorpresa».
La prima linea del calcio le manca?
«Talvolta sì. M’interrogo sul contributo che potrei ancora dare. Poi mi dico che tocca ad altri, ora, essere protagonisti e assumersi responsabilità».
Presidente del Bari, della Lega e della Federcalcio. Vicepresidente di Fifa e Uefa. Qual è l’esperienza più bella che ha vissuto da dirigente di alto livello?
«Essere a capo della Figc e del calcio italiano per tanti anni. Anche la guida del Bari mi ha emozionato molto».
Qual è il ricordo più nitido impresso nella sua memoria?
«Il giorno in cui con la signora De Palo, vedova del defunto presidente del Bari, attraversammo il terreno di gioco del vecchio Stadio della Vittoria stracolmo di tifosi. Ci tremavano le gambe».
Tra i supplementari e i rigori di Italia-Brasile, finale mondiale del 1994 a Pasadena, cosa fece? Pregò?
«Ero frastornato. Però il peggio stava solo per arrivare. Dopo il rigore sbagliato da Roberto Baggio i giocatori, tutti, indistintamente, piangevano. Paolo Maldini uscì dagli spogliatoi e mi invitò a consolare i suoi compagni. In realtà dovevamo consolarci a vicenda».
E tra i supplementari e i rigori di Italia-Argentina, semifinale dei Mondiali del 1990 a Napoli, cosa pensò?
«Nulla e non voglio nemmeno pensarci oggi, a 30 anni di distanza. Quella è una ferita che ancora non si rimargina».
Chi le ha insegnato più calcio?
«Tre straordinari presidenti: Dino Viola, Paolo Mantovani e Silvio Berlusconi. E il Cavaliere, oltre a conoscere la materia, si è sempre distinto per la sua umanità».
Che tipo era Sepp Blatter?
«Il più cinico, abile e intraprendente manager calcistico. Ha amato la Fifa più di se stesso».
La partita che mette in cima alla lista delle gioie?
«La finale dei Mondiali di Spagna nel 1982. Rappresentò il mio esordio da presidente della Lega e vicepresidente della Figc».
E quella che vorrebbe non si fosse mai disputata?
«Devo ripetermi. Italia-Argentina del 1990».
Chi è stato il giocatore che ha amato di più?
«Nessuno, sa perché? Da presidente della Federcalcio m’imponevo di non fare preferenze fra gli azzurri».
Con quale allenatore ha avuto maggiore feeling?
«Arrigo Sacchi. Uomo e commissario tecnico eccezionale, ma anche faticoso, lucido e leale».
È vero che quando venne assegnata la finale di Coppa dei Campioni del ’91, e le chiesero «perché Bari?», lei rispose «perché è la mia città»?
«La finale del San Nicola tra Stella Rossa e Marsiglia ha fatto storia. Nel calcio, e non solo, quando si ha il potere bisogna esercitarlo. Altrimenti significa che non lo meriti».
Salto nell’attualità. Di fronte all’emergenza coronavirus il calcio italiano come si è comportato?
«Inizialmente ha mostrato più di un’indecisione, dovuta all’eccessiva presenza della politica. Poi ha reagito con chiarezza e fermezza. Il presidente Gravina ha agito come avrei fatto io. Spiegando alla politica che l’invasione nel mondo del calcio non sempre è un’idea positiva».
Ripartire senza tifosi e in piena estate ha senso?
«Non vi era altra scelta».
Come ha vissuto i mesi del lockdown?
«Scappavo di casa all’alba, andavo a correre vicino al mare. Tentavo di non farmi riconoscere. Un paio di volte la polizia mi ha beccato, ma mi ha pure perdonato».
Qual è il suo più grande rimpianto?
«Non essere tornati dagli Stati Uniti con la Coppa del Mondo sull’aereo».
Ha governato in più epoche la Lega, cioè la Confindustria del pallone. Che idea si è fatto della gestione in corso?
«Tenere le fila della Lega non è un gioco da ragazzi. Ciascun presidente di società ritiene di avere la ricetta giusta per risolvere i problemi. Paolo Dal Pino è un manager pratico, di spessore. Essenziale è che non ceda mai alle pressioni».
Il calcio italiano risalirà ai massimi livelli mondiali?
«Il destino del nostro calcio è stare sempre ai massimi livelli. Succederà di nuovo, parola di prossimo 80enne».