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 2020  luglio 03 Venerdì calendario

Gli ayatollah a sostegno di Maduro

Nelle ultime settimane, cinque petroliere che trasportavano 1,5 milioni di barili di benzina hanno viaggiato per 42 giorni coprendo i quasi duemila chilometri che separano il porto iraniano di Bandar Abbas da El Palito, un grande impianto di raffinamento nel Venezuela centrale. Questa transazione, del costo di 45 milioni di dollari e pagata dal regime venezuelano in oro, è difficile da giustificare in termini puramente commerciali: i costi di trasporto sono semplicemente troppo elevati. Vicino al Venezuela ci sono tantissime raffinerie che potrebbero vendere la benzina con costi di trasporto trascurabili. È inspiegabile anche in un’ottica geologica: il Venezuela ha riserve di petrolio fra le più grandi del pianeta. Allora perché questa nazione caraibica ricca di petrolio dovrebbe importare benzina dall’Iran? E un’altra sorpresa: fino a pochi mesi fa gli automobilisti venezuelani avevano a disposizione la benzina meno cara del mondo. Ora, milioni di loro non possono permettersi quella che è diventata la benzina più costosa del pianeta. Com’è possibile che in un momento in cui il mondo trabocca di petrolio, l’offerta supera di gran lunga la domanda e non c’è una capacità di stoccaggio sufficiente, il Venezuela stia sperimentando una drammatica carenza di benzina? Le risposte sono complesse, ma il succo è che il Venezuela è rimasto senza benzina per corruzione, ragioni geopolitiche e ideologia.
La corruzione, sotto Hugo Chávez e Nicolás Maduro, è qualcosa di più delle consuete ruberie della classe al potere, da repubblica delle banane. La cleptocrazia bolivariana di Chávez prima e Maduro poi assume proporzioni macroeconomiche. Una parte importante è rappresentata dal saccheggio dell’industria petrolifera nazionale, di una compagnia petrolifera statale che un tempo era fra le più ammirate del mondo. Oltre a saccheggiare l’industria petrolifera, i compari politici, amici e parenti di Chávez e Maduro che la gestiscono sono riusciti anche a distruggerla, con il risultato che oggi il Venezuela non possiede il denaro e la capacità per estrarre e raffinare il petrolio.I proventi del petrolio, che avrebbero dovuto essere usati per finanziare lo sviluppo nazionale, gli investimenti in nuovi giacimenti petroliferi e il mantenimento della produzione e degli impianti di raffinamento esistenti, sono stati in gran parte trafugati. Quello che è rimasto è stato speso in modo scriteriato con elargizioni grossolanamente populiste al popolo e donazioni a Paesi esteri ideologicamente vicini alla rivoluzione bolivariana in cambio di lealtà politica. L’Assemblea nazionale venezuelana, nelle mani dell’opposizione politica al regime, ha accertato la responsabilità dell’ex presidente della compagnia petrolifera statale, Rafael Ramírez, nell’uso illegale e distrazione di almeno 11 miliardi di dollari durante il suo mandato. Depositi di denaro sporco per 4 miliardi di dollari effettuati da ex funzionari della compagnia petrolifera sono stati trovati dalle autorità europee in banche andorrane, svizzere e spagnole. E questi soldi sono solo la punta dell’iceberg. Un ex ministro della pianificazione del regime chavista, Jorge Giordani, ha ammesso che durante i 12 anni di potere di Hugo Chávez ci sono almeno 300 miliardi di dollari che non si sa che fine abbiano fatto.
Oggi alla dittatura di Maduro sono rimasti pochi alleati. Cuba, il Nicaragua e alcune nazioni insulari dei Caraibi, che hanno continuato a sostenere il regime venezuelano in cambio di rifornimenti di petrolio a prezzi sovvenzionati e la possibilità di accedere a transazioni corrotte molto lucrose, hanno ridotto le loro aspettative, perché è rimasto poco da saccheggiare in Venezuela. Altri sostenitori del regime al di fuori della regione, come la Cina, la Russia e l’Iran, sono mossi dal desiderio di crearsi una loro sfera di influenza geopolitica in America Latina, e dalla comune animosità, motivata da ragioni ideologiche, nei confronti degli Stati Uniti.
In questo contesto, è facile capire perché il Venezuela si sia ridotto a importare benzina dall’Iran. Le raffinerie venezuelane, che lavoravano più di un milione di barili al giorno prima di Chávez, oggi sono praticamente ferme per mancanza di manutenzione e carenza di personale tecnico qualificato. Il risultato è che le importazioni di benzina sono diventate una priorità urgente per Maduro. Oltre a disporre di limitate risorse finanziarie, il regime deve fare i conti anche con le pesanti sanzioni imposte dagli Stati Uniti.
L’Iran è uno dei pochi Paesi rimasti che è disposto a commerciare con il Venezuela e può permettersi di incorrere nelle sanzioni americane, essendo già a sua volta soggetto a sanzioni che limitano le sue esportazioni petrolifere. Il Venezuela di Maduro offre ai mullah che governano l’Iran l’attraente possibilità di vendere i loro prodotti petroliferi a un amico e alleato con cui condividono un antiamericanismo profondo.
Inoltre, il Covid 19 sta aggravando la complessità e l’urgenza della situazione. L’Iran aveva appena completato un forte potenziamento di una delle sue raffinerie più importanti quando è arrivata la pandemia. Il virus, e le misure adottate dal governo in risposta, hanno provocato un forte calo dell’attività economica, e conseguentemente della domanda di carburante. In teoria, queste eccedenze di benzina potrebbero essere vendute al Venezuela per mesi. Il problema è che Maduro sta esaurendo i soldi per pagare le spedizioni. Un’altra complicazione è che gli Stati Uniti hanno irrigidito le sanzioni e hanno chiuso le scappatoie che consentivano alle petroliere non iraniane di trasportare benzina. L’alleanza tra i mullah iraniani e gli eredi cleptocratici di Hugo Chávez potrebbe essere lunga quanto a discorsi di sostegno reciproco, ma sarà brevissima quanto a conseguenze economiche pratiche.
(traduzione di Fabio Galimberti)