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 2020  luglio 03 Venerdì calendario

Intervista a Fabiola Gianotti

«Ma davvero il mondo può permettersi il lusso di non valorizzare al meglio metà della sua popolazione?». C’è anche questa tra le tante domande che affollano la mente brillante di Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern, il più grande laboratorio di fisica esistente. Non solo quesiti sull’origine dell’Universo o il ruolo del bosone di Higgs. La scienziata italiana si interroga anche su come rimuovere quelle barriere che impediscono ancora a troppe donne di accedere alle professioni e di dare il loro contributo alla crescita della società e dell’economia. Tanto da aver accettato, durante i giorni del lockdown, l’invito della ministra per le Pari opportunità: «Elena Bonetti ha voluto una task force di donne per poter beneficiare dell’esperienza diretta che ciascuna di noi, nei rispettivi campi, ha acquisito sulla situazione femminile», racconta Gianotti. E così, ricercatrici, economiste, imprenditrici si sono ritrovate per stilare il rapporto “Donne per un nuovo Rinascimento”, presentato proprio mentre il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa sottolineava che l’Italia è tra i Paesi in cui il divario tra le condizioni di lavoro degli uomini e delle donne è ancora troppo alto.
Fabiola Gianotti, perché una task force di donne sulle Pari opportunità nel pieno dell’emergenza Covid-19?
«Il timore è che la crisi economica scatenata dalla pandemia abbia un impatto maggiore sulle donne, la componente più fragile del mercato del lavoro. Ma c’è anche un’altra ragione: come tutte le crisi, anche quella legata al Covid offre l’opportunità di un rilancio economico, sociale e culturale del Paese. Rilancio che però deve prevedere un rafforzamento della presenza femminile in tutti i settori lavorativi, per un società più sostenibile e inclusiva».
Lei guida un laboratorio con 18 mila scienziati e non accetta facilmente altri incarichi. Come mai questa volta ha detto sì?
«Perché rafforzare la presenza femminile nei vari settori lavorativi e nelle posizioni decisionali del Paese richiede sforzi speciali: non accadrà come risultato di un’evoluzione naturale».
C’è un problema specifico di pari opportunità nel mondo della
scienza?
«Sì, nelle università italiane le donne sono circa il 36% dei docenti e ricercatori in aree Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) e meno del 20% dei professori ordinari. Bisogna quindi attirare le bambine e le ragazze verso le materie Stem e assicurare le stesse prospettive di carriera per uomini e donne».
Come task force, quali ricette avete individuato?
«Abbiamo avanzato una serie di proposte concrete, ma voglio ricordare l’istituzione di un fondo per sostenere la micro-impresa femminile, un piano per creare 100mila posti in più negli asili nido nei prossimi cinque anni, incentivi per le donne che tornano al lavoro dopo il periodo di maternità, proposte per aumentare la presenza femminile in organi decisionali».
Nel documento finale, si insiste molto sul ruolo della formazione e delle carriere scientifiche.
«Perché nei paesi occidentali l’occupazione nelle aree Stem cresce tre volte più rapidamente che negli altri settori. E tuttavia in Europa soltanto il 20% degli studenti universitari sceglie le materie Stem: vuol dire che non stiamo preparando la forza lavoro necessaria per il futuro. Bisogna quindi interessare i bambini alla matematica e alle scienze, usando metodi moderni basati su strumenti digitali, sperimentazione diretta, sviluppo del pensiero critico, risoluzione di problemi. La task force raccomanda ad esempio l’istituzione di campi estivi per l’approfondimento delle materie Stem per fasce di età fra i 4 e i 19 anni, con un minimo di presenza femminile del 60%: il dipartimento delle Pari Opportunità ha assicurato i fondi necessari già per l’estate 2020».
Cosa si può fare per ridurre il gender gap nell’università italiana?
«La task force raccomanda il monitoraggio delle carriere universitarie per uomini e donne; l’introduzione di incentivi economici e fondi supplementari per atenei e dipartimenti che dimostrano di fare sforzi concreti per promuovere una presenza equilibrata di uomini e donne nel corpo docente; un’adeguata rappresentanza di donne negli organi decisionali accademici; il prolungamento di borse di studio e assegni di ricerca nel caso di interruzione per maternità e cure familiari».
Molti auspicano che la fine della pandemia sia anche l’inizio di un nuovo mondo. Lei ci crede?
«La crisi da Covid-19 ci ha costretti a rallentare e a pensare. E può aiutarci a sviluppare un nuovo concetto di “vita normale”, una vita con più solidarietà e cooperazione, più cura e attenzione per le persone, più collaborazione a livello locale e globale, meno competizioni, meno viaggi. Una vita più rispettosa dell’ambiente. E più consapevole che la diversità (di genere, etnica e di cultura) è una delle grandi ricchezze dell’umanità».