Avvenire, 2 luglio 2020
Le dipendenze dei combattenti
Prima al Bataclan, poi a Raqqa. In tanti attentati suicidi, attacchi all’ultimo sangue ed omicidi efferati, il Daesh avrebbe fatto ricorso ad anfetamine. Droghe sintetiche concepite per esorcizzare il nemico numero uno del combattente: la paura della morte. Un nemico esiziale e paralizzante, cui si cerca rimedio da sempre con l’addestramento e, quando le gambe tremano, con la droga, con l’alcol, le anfetamine, la cocaina e il Lsd, eterni compagni dei guerriglieri dalla notte dei tempi.
Il politologo polacco Lukasz Kaminski vi ha dedicato perfino un saggio (’ Shooting up: a History of Drugs in Warfare’). Le droghe sono un’arma mortale, perché distruggono la mente. Riducono gli stimoli del sonno e della fame; aumentano i riflessi; anestetizzano i dolori delle ferite e affossano la paura. Perché l’uomo fa la guerra da sempre, ma fin da allora la teme, perché la guerra è sinonimo di morte. Fin dall’antichità l’alcol è stato ’l’elisir’ del combattente: gli opliti greci partivano in battaglia zeppi di vino. Gli aztechi avevano il pulque, un alcol misto a erbe e spezie dagli effetti narcotici. Anche Napoleone, maestro di strategia, sapeva come galvanizzare i suoi uomini. Ad Austerlitz aveva fatto distribuire una triplice razione di brandy. Erano forniture previste nei piani di battaglia. La Royal Navy del XVII secolo assegnava ad ogni marinaio una mezza pinta di rhum al giorno. L’alcol era una ’stampella’, un artificio per darsi coraggio. Permetteva di reggere i rigori del clima, di affrontare le fatiche delle marce spossanti e di fortificare il corpo. Nel XX secolo, poi, la chimica ha stravolto tutto, anche il binomio droga-campi di battaglia. La cocaina ha varcato i confini della Germania, conquistando i teatri più disparati. Era molto ’apprezzata’ dai militari perché riduceva la fame e i bisogni in viveri del 15-20%. Nella prima guerra mondiale fu distribuita in massa ai soldati di tutti i fronti, spesso a loro insaputa, mista al rancio. Aumentava i riflessi e le prestazioni sul campo. Salvo poi distruggere i neuroni e creare una spirale di dipendenza psichica. Poi è stata l’era delle anfetamine, come il captagon del Daesh. Hitler era un fervente consumatore di queste sostanze. Ingurgitava cocktail di 150 pillole alla settimana. Fra gli effetti ricercati: riduzione massiccia dei bisogni di dormire, di mangiare e delle sensazioni di dolore. Solo nel 1942 ci si accorse degli effetti nefasti: una fortissima dipendenza e, in caso di astinenza, una fatica insormontabile e una perdita di autocontrollo. Gli stati maggiori tedeschi distribuirono anfetamine agli uomini sotto forma di barrette di cioccolato. Come Hitler, anche Churchill era un grande bevitore e un grosso consumatore di droghe sintetiche, che mischiava ai barbiturici. I francesi non furono da meno.
Usarono droghe di sintesi durante la battaglia di Dien Bien Phu, in Indocina, e durante la Guerra del Golfo. Gli americani se ne servirono a Panama, nel 1989, e in Afghanistan, nel 2001, permettendo agli equipaggi dei bombardieri di operare per 85 ore di fila senza dormire. I jihadisti di ieri e di oggi usano gli stessi metodi, per accrescere il morale, la resistenza fisica e i riflessi. I loro bambini soldato sono sistematicamente drogati. La distribuzione massiccia di cocaina, marijuana, anfetamine e Lsd aumenta la loro spietatezza, rendendoli capaci di violenze inaudite. Una cosa che complica il processo di smobilitazione. Un altro effetto perverso della guerra. Il male assoluto per antonomasia.