Il Messaggero, 1 luglio 2020
Dietro le quinte del Dottor Živago
C’è un istante preciso in cui le nostre sorti possono cambiare per sempre. Secondo il mito greco, ogni cosa era nelle mani delle tre Moire, cui spettava il compito di tessere, filare e interrompere la trama delle nostre vite. Una visione consolatoria, soprattutto se accostata alla brutalità dell’Unione Sovietica, in cui ogni singola vita era saldamente nelle mani dei burocrati. Con buona pace della sfumatura poetica. Lo dimostra la storia d’amore fra Boris Pasternak e Ol’ga Ivinskaja, una passione dolorosa e travagliata che dovette sempre fare i conti con le spietate mosse del Kgb. Finché, il 16 agosto del 1960, la vita di Ol’ga Ivinskaja e di sua figlia, Irina Emel’janova – cambierà ancora, subendo una condanna a otto anni di lavori forzati in Siberia.
I RISVOLTI
La vicenda editoriale della pubblicazione dello struggente capolavoro, Il Dottor Živago, è un avvincente spy story sentimentale. Oggi ne conosciamo i risvolti grazie al lavoro di Paolo Mancosu professore di Filosofia alla Berkeley University in Živago nella tempesta. (Feltrinelli, 2015). Com’è noto, il 15 novembre 1957, Giangiacomo Feltrinelli superò la concorrenza, ignorò le pressioni politiche giunte dalla Russia e dal Pci, piazzando un colpo senza pari alla censura di regime. Mancosu ha già ricostruito tutto in modo minuzioso eppure molte domande erano rimaste senza risposta.
Ol’ga era stata l’amante del romanziere bollato in patria come «traditore del socialismo» e pochi mesi dopo la morte di Pasternak avvenuta il 30 maggio 1960 – la polizia segreta venne a prenderla. Aveva 48 anni e in passato non potendo punire lui il regime l’aveva già rinchiusa senza estorcerle una confessione, proteggendo il suo Boris. Ma nel momento in cui Pasternak con un testamento ufficiale, la nominava erede letteraria per i suoi diritti esteri, le riconosceva finalmente lo stato di Musa letteraria. Quel testamento era stato consegnato ai coniugi Garritano perché giungesse sino a Milano ma come in un giallo di Agatha Christie, improvvisamente scomparve nel nulla, lasciando Olga nella morsa del regime sovietico. E allora, che fine aveva fatto il prezioso documento? Lo aveva il KGB?
In Pasternak e Ivinskaja, Il viaggio segreto di Živago - che raccoglie il precedente volume, Živago nella tempesta e il nuovo saggio, Mosca ha orecchie dappertutto. Nuove indagini su Pasternak e Ivinskaja), Paolo Mancosu torna ad indagare, richiama le atmosfere da Guerra Fredda, setaccia la Fondazione Feltrinelli e numerosi archivi internazionali, spostando lo sguardo ora sulle sorti di Ol’ga, ora sui sette (sette!) dattiloscritti che Pasternak inviò in Occidente da Peredelkino dove concluse in povertà i suoi giorni, dopo aver dovuto rifiutare il Nobel per le pressioni politiche – sperando che almeno venisse pubblicato. E che ruolo giocò la Cia in questo intrigo editoriale, degno della penna di Le Carrè?
AMORE OSTINATO
Pasternak e Ivinskaja è un avvincente romanzo nel romanzo, un libro ricchissimo di fonti – foto, estratti di lettere fra Pasternak e Feltrinelli, stralci di documenti, dispacci editoriali – che documenta le trame politiche internazionali mentre si tentava di annettere al pantheon sovietico l’odiato Pasternak, ormai defunto. Infine, le due donne vennero liberate e Ol’ga sarebbe morta a Mosca, a 83 anni. Oggi, leggendo questo saggio, abbiamo la certezza che se Paolo Mancosu non si fosse meritoriamente lanciato in quest’opera di ricostruzione storica, tutto ciò che Ol’ga fece in nome di un cieco e ostinato amore per il suo Boris, sarebbe andato perduto nell’oblio degli archivi del Kgb. E sì, sarebbe stata l’ennesima ingiustizia per la donna che diede il volto a Lara, l’amata del dottor Živago.