Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2020
Il tasso di disoccupazione è inattendibile
George Gallup, padre dei sondaggi d’opinione, nel 1935 definì un “buon lavoro” un’occupazione di trenta o più ore settimanali con un datore di lavoro che provvedeva a pagare uno stipendio regolare. I “buoni lavori”, secondo Gallup, sono cruciali perché l’economia prosperi, la classe media cresca, il settore imprenditoriale si espanda e, più importante, per lo sviluppo umano. Ma è lecito chiedersi se adesso sia ancora così.
David G. Blanchflower in questo libro intende dimostrare come la Grande Recessione del 2008 abbia cambiato il mondo e quanto le economie, in primis quella statunitense, fossero ben lontane dal pieno impiego anche prima del Covid-19. Nel maggio 2018 il tasso di disoccupazione americano era al 3,8%, ma c’era un enigma. «Normalmente – osserva Blanchflower – quando il tasso di disoccupazione è sotto il 4%, i salari crescono. Non questa volta». La sua tesi è che il tasso di disoccupazione non sia più un indicatore utile come in passato, perché non rileva il numero di persone sottoccupate e sottopagate nel mondo. In questo scenario, la Grande Recessione è stata un momento di non ritorno.
Blanchflower propone la nozione di labor market slack come equivalente del concetto di “esercito di riserva” dei disoccupati messo a punto da Karl Marx in Das Kapital. Sottoimpiego e capacità di lavoro inutilizzata caratterizzano, a suo giudizio, l’attuale struttura del mercato del lavoro negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Europa. Più elevata è la capacità di lavoro inutilizzata, più è debole il potere di contrattazione dei lavoratori sui salari. Dal 2008, negli Usa e in Gran Bretagna la crescita dei salari per un dato tasso di disoccupazione è stata più bassa di quanto si fosse registrato negli anni pre-crisi.
Retribuzioni misere e perdita di lavori decentemente retribuiti hanno diffuso sentimenti di instabilità, insicurezza, infelicità, specialmente fra i meno istruiti. Dal 1999 il tasso dei suicidi negli Usa è aumentato del 25%: il mercato del lavoro americano è cresciuto nella disperazione. Pertanto il tasso di disoccupazione risulta adesso meno attendibile di un tempo: esso sottostima il labor market slack.
Quanto agli economisti, tante volte chiamati in causa dall’opinione pubblica per non aver saputo prevedere il diluvio del 2008, l’autore ne stigmatizza l’eccessiva fiducia nei dati quantitativi e nei modelli economici astratti che, secondo il Nobel Vernon Smith, «si adattano bene alle scimmie ma non necessariamente alla gente». Da qui la proposta di studiare i dati qualitativi come quelli combinati nell’Economic Sentiment Index (Esi) della Ue che, se fossero stati tempestivamente analizzati dagli esperti, avrebbero dato un preavviso più affidabile di quelli quantitativi sull’avvicinarsi della crisi 2007-2008. Invece, il crollo rilevato dall’Esi in Europa all’inizio del 2007 fu largamente ignorato dagli economisti, molti dei quali giudicavano irrilevante considerare sentimenti, emozioni, stati d’animo. Così politici, banchieri, policy maker si erano completamente scollegati da ciò che stava accadendo alla gente comune. E la gente si rivoltò contro gli esperti.
Nella sua analisi Blanchflower ricorre anche alla cassetta degli attrezzi della storia e delle scienze sociali. Ricostruisce il ruolo delle autorità pubbliche nella diffusione dell’epidemia di Spagnola nel 1918. Come ricorda che, durante gli anni 80, con Margaret Thatcher un milione di lavoratori manuali restò disoccupato nel nord del Regno Unito e non trovò più lavoro. Trump era nel giusto affermando che c’erano più di sei milioni di disoccupati negli Usa nel 2016, ma esagerava all’opposto. Il tasso di disoccupazione è calcolato fra i Paesi avanzati usando la definizione fissata dall’International Labour Organisation. Ma sottostima il numero di persone che cerca lavori meglio pagati o più adatti alla propria specializzazione. Nel 2017 il tasso di occupazione americano era inferiore a quello precedente la Grande Recessione. In Stati come Michigan e Ohio, cruciali per la vittoria di Trump, era rispettivamente del 58,6% rispetto al 66,2% del 2000, e del 59,8 rispetto al 64,4 per cento. I salari reali dei lavoratori nel 2018 erano ancora del 10% sotto quelli dei loro genitori nel 1973. Le conseguenze della Grande Recessione hanno aumentato dolore e malattie. L’ aspettativa di vita negli Usa e nel Regno Unito è calata. Anne Case e Angus Deaton hanno definito queste morti «di disperazione», e la crisi degli oppioidi le ha mostrate al mondo.
La tecnologia ha rimpiazzato il lavoro umano perché è relativamente a basso prezzo. È tempo perciò – secondo l’autore – che i governi diano incentivi alle imprese per assumere e formare i lavoratori, investire nel capitale umano prima che nelle macchine. Come non condividere un simile auspicio? Resta, comunque, il dubbio o il timore che i policy maker non abbiano imparato dai loro errori, e che pertanto siano a corto di munizioni per gestire la prossima, o l’attuale, crisi economica.