Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 26 Venerdì calendario

Intervista ai fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo

«La periferia è una semplificazione» dicono Fabio e Damiano D’Innocenzo, 31 anni, registi di Favolacce , quando vengono identificati con la periferia, Tor Bella Monaca. «Io Tor Bella Monaca neanche me la ricordo» - Damiano. Difatti la loro infanzia è molto di più. Quell’infanzia che torna in Favolacce , considerato da molti il film più bello dell’anno (forse degli ultimi dieci), Orso d’argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino, 9 candidature ai Nastri d’Argento. Struggente, poetico, crudele, durissimo, Favolacce sovverte i canoni, ribalta l’immaginario tradizionale. Poi c’è il fatto che Fabio e Damiano sono gemelli, che hanno condiviso tutto, a cominciare dalla stanza fino ai vent’anni. C’è il fatto che i film li girano insieme - come i disegni, e i libri. Dunque questa gemellanza deve pur condizionare la loro visione. Qui li abbiamo intervistati separati, le discrepanze dei ricordi sono già poetica, il resto appartiene a «il regime di comunicazione non verbale».


Nascere in due.
F: «I primi tre mesi della mia vita sono stati in incubatrice, lontano da mio fratello. Di quei mesi è rimasta la sensazione di essere rimasto un po’ in panchina».
D: «Quei mesi sono stati il mio senso di colpa. Spesso dicono che sono egoista, in realtà sconto ancora l’incubatrice, l’essermi cibato di più all’inizio».


Fino a vent’anni avete dormito nella stessa stanza. Descrizione del vostro mondo oltre la porta.
F: «Disegnavamo. Tutti a dirci quanto siete bravi, bravissimi».
D: «Volevano mandarci all’Accademia Disney di Bologna».


Soggetti dei disegni?
F: «Fumetti che vertevano sulla condizione della nostra famiglia».


Tipo?

F: «Nostro padre che entrava in classe, e ci avvisava che dovevamo andare a ritirare i buoni per la povertà».
D: «A dieci anni smettiamo di disegnare».


Motivo?
F: «L’idea di avere il binario già tracciato».


Niente Accademia Disney?
D: «Niente di quello che avevano sognato gli altri».


Giocattoli?
F: «Ci regalavano solo fogli e pennarelli, anche a Natale. Risma di fogli A4 più pennarelli».
D: «Un peluche a forma di trenino che permetteva di giocare dentro casa senza spaccare niente».


Padre pescatore.
F: «Uomo bellissimo che ha scelto la ragazza più bella, solo che lei, la più bella, veniva da una famiglia borghese, imparentata con quelli delle caramelle Ambrosoli».
D: «Famiglia che non prende bene il matrimonio. Specie la nonna».


Descrizione della nonna borghese?
F: «Quando andavamo a trovarla sembrava di andare dal medico».


Quartiere?
F: «Non ricordo».
D: «Di base veniva lei, due tre volte l’anno. Ci portava pacchi di caramelle Ambrosoli».


Mai sognato di conoscere quella parte di famiglia?
F: «Sempre interessati all’altra parte, ai poveri».


I luoghi della vostra infanzia-adolescenza?
D: «Anzio, Cincinnato, Nettuno, Lavinio. Litorale romano».
F: «Cambiavamo spesso casa. Il trucco era pagare i primi 2 mesi di affitto, poi basta. A quel punto si trattava di resistere alle minacce».
D: «Siccome erano case estive, sfitte d’inverno, certe volte ci capitavano grandi. Ad Anzio una di quattro piani».
F: «Nostro padre metteva una sedia alla porta d’ingresso, antifurto fai da te. Se qualcuno provava a entrare, la sedia cadeva, e lui si sarebbe svegliato all’istante, diceva».


Risultato?
F: «Svaligiati una quindicina di volte».
D: «La vergogna che ho provato da svaligiato, non l’ho mai provata da ladro, quando rubavamo le stampanti per esempio».
F: «Una notte i ladri riescono ad alzare un pezzo di tapparella, e infilano dentro un bambino. In quel periodo si usavano molto i bambini per i furti. Agili, piccoli».
D: «Noi dormivano con la porta aperta, letto a castello. A un certo punto questa figura minuscola nel corridoio. E la sensazione di mio fratello sopra che diminuisce di peso, trattiene il respiro. Ho richiuso gli occhi, Fabio pure, credo».


Infanzia violata da un bambino?
F: «Da uno schizzo di bambino. Ha presente in che modo i bambini disegnano i bambini? Ecco, quella cosa lì».


Del resto in Favolaccei bambini si violano l’infanzia da soli.
F: «I ricordi di noi da piccoli sono sempre legati al sesso».
D: «Dai quattro anni in su». F: «Non c’è stata una circostanza in cui ho detto: questa è la prima volta».


Una situazione tra le tante?
F: «Io quattro anni, lei cinque. Mi metteva sotto il piumone».


Suo fratello?
F: «Non c’era».
D: «Sotto il piumone c’ero anch’io. La bambina aveva otto anni, noi quattro. Dopo io e Fabio non ci rivolgevamo parola per il resto della giornata, troppa vergogna». F: «Fra noi non parliamo mai di ragazze. Per quattro anni ho avuto una fidanzata che Damiano ha visto solo tre volte».


Perché?
F: «La coppia eravamo io e lei, non potevo sommare un’altra coppia».


Torniamo al sesso nel film.
F: «Molte scene sono autobiografiche, prese dal nostro vissuto, come quella del biscotto ( ndr: la ragazza incinta che si strizza il seno per bagnare il biscotto di latte e offrirlo al bambino).
D: «Eravamo alle medie. Consideriamo che al tempo Fabio era diventato sicuro, io invece introverso. L’anno della prima media avrò detto cento parole in totale. A ricreazione rimanevo in classe. Mi chiamavano frocio, ed ero felice, mi dava diversità».
F: «La scena del latte: sul momento aveva qualcosa di agghiacciante, a ripensarci oggi c’era una purezza».


A proposito di purezza: la purezza in Favolacce .
F: «L’infanzia non ha retropensiero. Io vorrei aver vissuto vent’anni d’infanzia».
D: «Pagherei per tornare in camera con mio fratello».


Il momento in cui si diventa adulti?
F: «Mai definitivamente».
D: «Quando smetti di vivere col tuo gemello».


Alle superiori ancora insieme.
F: «Alberghiero di Anzio».
D: «Un amico ci aveva detto: è una scuola bellissima. Tu scendi, apri il frigo, e mangi quando vuoi».


La piscina del film.
F: «Un’estate abbiamo avuto una piscinetta di plastica, non grande quanto quella di Favolacce . Ci fu un tentativo di portarla in terrazzo, l’idea dell’acqua vicina al cielo».


Poi?
F: «Il terrazzo ha rischiato di cedere».
D: «E comunque avevamo la piscina vera dei vicini».
F: «Sapevamo quando andavano al mare, e scavalcavamo».
D: «Nostra madre non voleva. Un giorno però riesco a convincerla, e scavalca anche lei».


Quindi?
D: «Quel bagno non lo dimentico, il primo bagno di mia madre, ci ho scritto persino una poesia. Lei in acqua, e io fuori a guardarla».


Perché fuori?
D: «Era già la fase del trauma. Sono stato anni senza fare il bagno, mai più andato al mare per dodici anni».


Dopo?
D: «L’anno scorso, insieme a Ilaria, la mia compagna. M’immergo in una piscina. Avevo dimenticato tutto dell’acqua: consistenza, odore. Non sapevo nuotare, davo i pugni per tenermi a galla».


Trauma originario?
D: «Un giorno d’agosto sulla spiaggia di Anzio vedo Fabio in mare, poi non lo vedo più, sommerso dai cavalloni. In quel minuto di tempo io già mi stavo regolando a una vita senza mio fratello».


E?
D: «Impossibile».