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 2020  giugno 29 Lunedì calendario

La grande carestia dei dividendi

Lo stesso copione era pronto ad andare in scena a livello globale, con una pioggia d’oro superiore agli 1,4 trilioni incassati l’anno precedente. Lo tsunami del coronavirus ha fatto saltare tutto: le banche centrali e le autorità finanziarie mondiali, temendo un collasso della solidità patrimoniale di banche e assicurazioni, hanno chiesto ai due settori di congelare il pagamento ai soci. Buona parte dei piani di aiuti messi in piedi dai governi ha posto come paletto il taglio della remunerazione dei manager, lo stop al riacquisto di azioni proprie in Borsa e la sospensione della remunerazione degli azionisti. E alla fine, per obbligo o necessità, interi comparti dei mercati – specie quelli più colpiti dalla pandemia – hanno chiuso i rubinetti lasciando a bocca asciutta il mercato.
La vittima più illustre della Caporetto delle cedole è Shell. Tutti i colossi petroliferi – azzoppati dal boicottaggio ’ambientale’ dei mercati – sono stati costretti negli ultimi anni a garantire ritorni e rendimenti principeschi ai soci. E il gruppo anglo-olandese è stato da sempre una gallina dalle uova d’oro e di gran lunga la società più generosa tra quelle quotate sui listini planetari: dalla fine della seconda guerra mondiale non ha mai tagliato la remunerazione, nemmeno nel pieno della tempesta Lehman; dal 2005 ha distribuito 153 miliardi di cedole (più 48 di buy-back) di cui 13 miliardi nel 2019. L’arrivo della pandemia a inizio 2020 ha interrotto dopo 75 anni la tradizione: il petrolio è sceso sotto zero, l’economia mondiale è finita in avvitamento. E i vertici della Shell, obtorto collo, hanno fatto il grande passo, tagliando da 47 a 16 centesimi il dividendo del primo trimestre del 2020, con grande disappunto della Borsa.
La retromarcia di Piazza Affari
La Shell è solo la punta dell’iceberg: oltre a molte banche, assicurazioni e oltre ai re del greggio, anche il mondo del turismo, le compagnie aeree e i giganti della distribuzione tradizionale sono stati costretti a cancellare i dividendi. E la Borsa di Milano – anche se a differenti velocità – non ha fatto eccezione: nel 2019 – calcola la società d’analisi Janus Henderson – l’Italia era il Paese dove le cedole erano cresciute di più (+6%) e il 2020 sembrava destinato a bissare la performance. Il coronavirus – e la moral suasion delle autorità monetarie – hanno però costretto molti big a fare una rapida retromarcia. IntesaSanPaolo ha cancellato i 3,4 miliardi che era pronta a distribuire ai soci. Una cedola (19 centesimi) che ai prezzi attuali del titolo varrebbe un rendimento-monstre pari all’11%. Un’enormità in un mondo dove il tasso d’interesse sul BTp decennale vale l’1,35%. Stessa scelta ha fatto Unicredit, che ha congelato le delibere per il pagamento dei soci (1,4 miliardi la somma prevista) e i piani di riacquisto azioni per quasi 500 milioni. Riservandosi di riprendere in considerazione le proposte dopo il primo ottobre qualora le condizioni di mercato lo consentissero.
Il mondo della finanza si è comunque mosso a diverse velocità. Le assicurazioni, dice l’Ivass, hanno rinunciato a pagare 4,4 miliardi. La Banca popolare di Milano, pronta a tornare a remunerare gli investitori dopo cinque anni di astinenza, ha bloccato la cedola, come ha fatto anche Mediolanum. Unipol ha congelato la distribuzione di 200 milioni mentre la controllante UnipolSai ha dato via libera all’esborso di oltre 400. Le Generali hanno garantito un primo acconto ai soci, mentre hanno rinviato all’autunno il pagamento di altri 750 milioni.
 
Industria a due velocità
Stesso discorso per l’industria dove la pandemia è stata più selettiva. Regalando performance da sogno ad alcune aziende tecnologiche, spingendo la farmaceutica e l’alimentare – tutti settori dove lo stop alle cedole è stato una rarità – e penalizzando invece altri comparti più ciclici. Fca ha deciso così di rinunciare a premiare gli azionisti con 1,1 miliardi, scelta che ha consentito alla casa automobilistica di accedere ai prestiti garantiti dalla Sace previsti dal decreto Garanzia Italia. Anche EssilorLuxottica ha scelto la strada dell’austerity in attesa di tempi migliori, come hanno fatto Pirelli, Amplifon, Prysmian e Ferragamo.
Un caso a parte è invece quello delle partecipate pubbliche. Molte di loro (Eni ed Enel comprese) avevano già pagato a fine 2019 un primo acconto sul dividendo dell’anno, prima che scoppiasse la pandemia. Lo Stato però – per cui ogni entrata in questo momento è importantissima – ha deciso di tirare dritto e le assemblee delle controllate hanno dato il via libera al versamento anche del saldo, 1,1 miliardi, di cui oggi le casse pubbliche hanno bisogno come del pane. Nell’anno della carestia delle cedole a livello mondiale, insomma, il Tesoro potrebbe essere l’unico a festeggiare un esercizio da record incassandone (quelle di BankItalia comprese) quasi 10 miliardi.

Usa meno colpiti
Il panorama della remunerazione dei soci in quest’anno molto particolare varia molto a seconda delle latitudini e dei mercati. Janus Henderson prevede un calo globale dei dividendi pari al 35%. Negli Stati Uniti però le cose dovrebbero andare molto meglio anche perché sul mercato sono presenti molti colossi della tecnologia che dopo lo tsumani del coronavirus si ritrovano più ricchi di prima. Non solo: le aziende che hanno sofferto di più, prima di tagliare il pagamento agli azionisti, hanno sospeso i piani – spesso ricchissimi – di riacquisto di azioni proprie. Per Goldman Sachs la sforbiciata negli Usa si fermerà così a un -25% mentre per Citigroup il monte dividendi distribuito dalle società europee – tradizionalmente più generose – il taglio sarà del 50%. Questo inizio 2020 nero vedrà invece ridimensionarsi di molto il rendimento dei titoli quotati a Piazza Affari. I dividendi 2019, dicono gli analisti, avrebbero garantito un ritorno medio sul prezzo in Borsa a fine anno non lontano dal 5%. Ora, malgrado il crollo delle quotazioni, quella cifra è solo un miraggio.