Affari&Finanza, 29 giugno 2020
Intervista all’economista Raffaella Sadun
Tutto è cominciato con uno shock sanitario. Poi è diventato un shock di offerta perché fabbriche e negozi hanno chiuso, la catena della globalizzazione si è spezzata. Quindi si è trasformato in uno shock di domanda perché alla ripresa la gente non vuole spendere, paralizzata dall’incertezza e dalla carenza di mezzi. Da oggi comincia un’altra fase ancora: lo shock da ricollocazione, o da riallocazione delle risorse nel caso delle imprese. Cosa devono fare i milioni e milioni di disoccupati che la pandemia ha creato in tutto il mondo? Raffaella Sadun, romana, PhD alla London School of Economics e oggi docente di public administration ad Harvard, una risposta non ce l’ha ancora. Però per trovarla (e anche per rispondere a un’analoga domanda nella commissione Colao di cui ha fatto parte) ha mobilitato le risorse della sua università e iniziato una ricerca a tappeto. “Per prima cosa – racconta – abbiamo intervistato 56 aziende in America, Italia, India, Cina, scelte fra quelle su cui la pandemia ha, o dovrebbe, aver lasciato il segno. E ora stiamo cercando di capire le conseguenze a lungo termine di questa tempesta senza precedenti”.
In Italia la disoccupazione – le conseguenze dirette vengono valutate in un’apocalisse da un milione di posti persi – era già drammatica prima del Covid, ora rischia di compromettere la pace sociale. Quali consigli si possono dare ai nuovi disoccupati, anch’essi in modo diverso vittime del virus?
"Per i casi più difficili sarà necessario cambiare lavoro. Prendiamo un tour operator, o anche un animatore di villaggi turistici dove l’affollamento era parte del divertimento: purtroppo il loro business cambierà per molto tempo. Pensate che in occasione della precedente crisi, il numero di miglia volate nel 2007 fu recuperato solo a fine 2013. E ora è molto peggio. Allora è importante che chi ne ha la possibilità, i più capaci e attivi magari con buone attitudini informatiche nonché capacità interpersonali, sia messo nelle condizioni di poter intraprendere qualche altra attività nei settori che viceversa sono destinati a crescere, per esempio l’e-commerce o la tecnologia dello smart working o anche la stessa sanità da riorganizzare”.
Lei ha in mente l’America, Paese dove la flessibilità del mercato del lavoro è proverbiale, o questi concetti si possono estendere alle nostre sponde?
"Guardi che l’enormità di quanto sta succedendo mette a dura prova anche un sistema come quello americano. Anche qui il riassorbimento della disoccupazione sarà lento, discontinuo e laborioso. C’è, qui come altrove, una preoccupante polarizzazione dei lavoratori, che diventa critica in un momento come l’attuale: c’è chi è molto preparato, compreso anche chi è in possesso di capacità manuali specifiche che diventano altrettanto preziose e non automatizzabili, e una cospicua massa di “unskilled” che c’è pericolo che venga dimenticata. Sarà fondamentale fare in modo che, a differenza del passato, i processi di riallocazione non inaspriscano le diseguaglianze, e idealmente aiutino a ridurle”.
C’è un ruolo per lo Stato in questa riconversione di massa?
"Certamente. Lo Stato può fare la differenza. Intanto ben vengano tutte le sovvenzioni straordinarie, dalla cassa integrazione agli interventi mirati, che il governo italiano sta profondendo, anche se a un certo punto sarà importante fare in modo che le risorse siano indirizzate non solo in chiave di assistenza, ma anche di crescita. Come commissione Colao abbiamo raccomandato che già in questa fase caratterizzata dall’adozione di interventi straordinari di supporto al lavoro si mettano le basi per la crescita, per esempio aumentando e accelerando la formazione dei lavoratori, oltre a incentivare l’innovazione tecnologica delle imprese ripristinando ed estendendo le misure previste dal piano Industria 4.0. Vanno sostenuti gli investimenti in sostenibilità e transizione energetica e ampliate le misure di sostegno alle startup innovative”.
La modernizzazione dell’Italia rischia di conoscere una nuova battuta d’arresto?
"Qui tocchiamo un punto debole ben antecedente all’epidemia. Uno dei nodi importanti è la riqualificazione dei lavoratori, così come punto centrale di questa fase, 2 o 3 o 4 che sia, è il ripristino della forza lavoro. Ma la “formazione continua” è stato un processo colpevolmente trascurato, i programmi mancano di una validazione affidabile e i fondi europei a ciò finalizzati sono stati cronicamente sottoutilizzati in Italia. Sarà stata una scarsa consapevolezza della presenza dei fondi o una carenza progettuale da parte degli imprenditori, oppure anche difficoltà oggettive di questi a consorziarsi per ottimizzare le risorse. O infine motivi pratici come, un esempio fra i tanti, l’impossibilità di lasciare i bambini per andare a seguire un corso fuori dall’orario di lavoro. Sono molti i ritardi dell’Italia in questo campo che emergono in questa situazione”.
C’è una carenza manageriale generalizzata?
"In Italia convivono realtà imprenditoriali d’eccellenza con modelli non compatibili con la produttività e l’innovazione oggi necessarie, meno che mai in un periodo di così grande incertezza. Per iniziare a capire come i manager possono affrontare il futuro abbiamo lavorato con alcuni studenti italiani di Harvard al rapporto “Re-starting under uncertainty” che contiene fra le altre 17 interviste ad aziende italiane indicate da Confapi. Devo dire che in molti casi è sorprendente la rapidità di adattamento dei manager ma anche della forza lavoro, addirittura in grado di “leggere” in anticipo dove ci avrebbe portato la situazione e di attrezzarsi per tempo, spesso prima che i governi agissero. L’esempio più semplice è chi si è messo immediatamente a produrre mascherine o a usare le stampanti 3D per i caschi da rianimazione. Un elemento comune è la volontà di mettersi alla ricerca di informazioni utili a impostare i cambiamenti presso ogni possibile fonte: i fornitori, le associazioni di categoria, perfino i concorrenti. Il fatto è che disegnare una “best pratice” in un mondo così radicalmente cambiato è difficile. Ma queste interviste mostrano che l’iniziativa manageriale sarà fondamentale per la ripresa”.