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 2020  giugno 29 Lunedì calendario

Toghe e concorsi truccati, trent’anni di beffe e ricorsi

Un ricorso, il primo, poi sono diventati decine: ma è lì che avviene per l’avvocato Pierpaolo Berardi la fusione tra due memorie, quella oggettiva, documentaria con quella per così dire personale, proustiana. Comincia così: «Io sottoscritto dottor avvocato Pierpaolo Berardi nato ad Asti il 10 ottobre 1964 sostenevo in data 20 -21- 22 maggio 1992 le prove scritte del concorso per uditore giudiziario. All’esito dei risultati degli scritti risultavo non idoneo in tutte e tre le prove…».
In calce, accanto alla firma, la data: 6 ottobre 1992. I 28 anni che seguono sono fiaba di ingiustizia contorta e di infinita proliferazione, Iliade di convulse guerre di attrito in tribunali amministrativi, procure, Consiglio superiore della magistratura. Perfino un paio di presidenti della Repubblica hanno dovuto chinarsi sul soggetto. Perché Berardi, che è ora penalista ad Asti, ha cocciutamente esibito le prove che quel concorso per le toghe era truccato, fasullo. E nessuno ha potuto negarla, quella scomoda evidenza documentale. Sentenze inorridite lo provano. Ma tutto è rimasto come prima. Il sistema, fatto ahimè anche di privilegi consortili e variegato malaffare, intinto nella italianissima pece di parentele, amicizie, raccomandazioni, scambi dinastici, non riconosce errori. 
Attenti. Ora non è più la storia di una singola partita defatigatoria per ottenere la riparazione di un torto amministrativo, la lotta burocraticamente esemplare di un Sisifo della giurisprudenza. Tema appetitoso, ma quasi letterario. Nel frattempo è accaduto qualcosa che costringe a rileggerla in uno spazio più vasto. E più inquietante. E questa cosa sono le ingolfate sconcezze dell’hotel Champagne, le cordate di barattieri in toga che spartivano le procure, insomma il «l’affaire Palamara». È un prima che sembra annunciare, in modo nefasto, un dopo. Perversione che si pone come premessa metodologica di altre. 
Non varrebbe la pena di indagare se non sia il contorno di un sistema, verrebbe da dire con Sciascia, di un ‘’contesto’’, dove la Spartizione nel Terzo Potere è norma consustanziale? E poi nel caso Berardi le violazioni sono così sfacciate, evidenti, volgari che si specchiano nell’argot delle mail del caso Palamara. C’è odore di qualcosa di stratificato, sistematico, si va a colpo sicuro, non si ipotizza la possibilità di uno scacco, l’impunità pervade. 
Ci stiamo occupando con il Csm della cuspide della cometa spartitoria. E se la base di questa oleografia dell’intrallazzo togato fosse proprio il concorso da cui escono i futuri magistrati…? Non è opportuno approfondire? Berardi e la sua odissea possono fare da utile baedeker.
Dunque: il 20 maggio a Roma, hotel Ergife, la sede dell’esame trapela afa, ‘«sembrava di entrare in uno stadio»’, ci si sente prosciugati come una carta assorbente. Come potrebbe dimenticarli quei tre giorni, gli hanno assorbito la vita, il Tempo. Non c’è stato giorno, Natale e Pasqua compresi, in cui non vi abbia dedicato, aiutato soltanto da una collega dello studio, Anna Mattioli, pazienza passione rabbia ostinazione sapienza giuridica. Erano diecimila, alla fine consegnarono in 2444.
Succede talvolta: il caso, la fortuna. All’esame di maturità è la lettera di Cicerone da tradurre che hai letto la sera prima nell’ultimo ripasso. Per lui fu dissertare su ‘’la responsabilità penale professionale del medico’’. Due mesi prima aveva affrontato proprio un caso di questo tipo per lo studio dove faceva pratica, sapeva tutto, fino alle recentissime modifiche legislative. Sottopone i tre elaborati al giudizio di magistrati e professori di diritto: perfetto, si vaticina già il voto più alto. Bocciato in tutti e tre. Non ammesso all’esame orale. 
Fu allora che Berardi fece un gesto senza precedenti, rivoluzionario: il bocciato invece di rassegnarsi e transumare nella sessione seguente chiede copia degli elaborati e del relativo verbale che motiva il seppellimento nell’elenco dei falliti. C’è la legge: 241/90!
Qui inizia una guerriglia: dinieghi, rinvii, rifiuti, controricorsi, silenzi. Dapprima gli forniscono solo i suoi temi, se li rilegga! una beffa. Per ottenere il verbale devi rivolgersi al Tar e presentare denuncia alla procura di Roma e a quella di Perugia competente: assonanze. Si piegano all’ordine. La reticenza aveva motivo: risulta che la valutazione di ogni elaborato è durata in media tre minuti ciascuno; compresi i tempi morti per la discussione che deve essere collegiale, apertura materiale delle buste, decifrazione non agevole della scrittura di ogni candidato poiché per legge gli elaborati sono redatti a mano. Si andava di fretta, non c’era suspence: gli idonei, secondo il mos italicus, erano già noti. 
Berardi insiste. Dopo due anni ottiene di vedere tutti gli elaborati. E’ una pendenza rognosa l’avvocato che viene da Asti, un idealista del diritto, specie pericolosa per il malaffare. In più si è fatto accorto nel controbattere stregonerie leguleie, le raffiche di ricorsi dissestano fragili barricate dilatorie o unguenti cosmetici amministrativi apposti agli abusi. 
Dagli elaborati dei promossi (e ormai al lavoro in tribunali e procure taluni con profitto anche mediatico) spuntano orrori: evidenti segni di riconoscimento lasciati sui fogli, come saltare le prime righe o scrivere solo su una parte delle facciate o cambi di calligrafia in punti chiave. E poi errori di diritto così elementari da decapitare uno studente di giurisprudenza, uno confonde dolo con colpa, un altro parla di diritto civile in un tema di penale, una brutta copia è allegata come parte dell’elaborato. Si possono citare solo i codici e le istituzioni di Gaio, allegramente i candidati virgolettano, interpunzioni comprese, bocconi del Digesto. E poi c’è il giallo: il direttore generale del ministero comunica che non può fornire l’elaborato numero 1101, uno dei promossi con voto più alto: è scomparso da più di un anno!
E poi ci sono le firme: un verbale, il 182, ad esempio, è firmato «letto ed approvato» da un componente della commissione che non era presente. Si pone riparo, maldestramente, con firme aggiunte. Un falso che rende l’atto amministrativamente inesistente. Lo racconta in un libro, con i documenti, il professor Cosimo Lorè. I commissari hanno lavorato grossolanamente, si plana super leges allegramente. Non l’avete ancora capito: chi mai andrà a indagare sull’esame? E anche se lo facessero? I francesi la chiamano "camaraderie’’: qualcosa che sta tra lo spirito di corpo e la complicità.
Berardi capisce di scontrarsi con un Sistema per cui non esiste la ammissione di colpa. Gli apre gli occhi la frase che gli rivolge l’allora procuratore generale presso la Corte di cassazione Vittorio Sgroj a cui ha esposto lo scandalo del concorso truccato: «Lei ha ragione, caro Berardi, ma io che ci posso fare?».
Nel 2000 Berardi per un attimo si illude, forse…Evidenti le storture e le illegittimità, si ripeta l’esame per lui solo. Ma la commissione sarà la stessa che lo ha bocciato. La ricusa. Naturaliter lo ribocciano. Che cosa è a verità? Domandava Ponzio Pilato, che era appunto magistrato screditato. Il dubbio rimane.
Ora è in attesa di un ennesimo ricorso in Appello. Il coraggio viene facilmente meno allorché si pensa che tutto sia inutile, che la protesta resterà solitaria. Lui non si arrende, ha studiato per diventare magistrato, gli hanno insegnato il rispetto della legge. La tara, il sudicio che ha svelato per lui è una ferita dell’anima. Con i magistrati lavora ogni giorno: «La magistratura è come la Chiesa, dove ci sono i pedofili e i santi e quelli che stanno in mezzo».