Avvenire, 28 giugno 2020
I danni delle sanzioni americane alla Siria
Concepite per colpire le imprese straniere che fanno affari con il regime siriano, le nuove sanzioni americane, in vigore dal 17 giugno, hanno avuto invece un effetto immediato sul potere d’acquisto della popolazione civile. La linea diretta che va dai mercati finanziari ai mercati siriani della frutta e verdura ha portato ad un deprezzamento ulteriore della lira siriana e all’aumento insostenibile dei prezzi dei beni alimentari.
Il cambio odierno della lira siriana è di 2.400 lire per un euro. Raggiungiamo al telefono Mariam K., 23 anni, che vive a Damasco, badante di professione, che fa la spesa tutti i giorni. «Partiamo dal riso – dice la ragazza riferendosi al principale cereale consumato nel Paese –: prima delle nuove sanzioni costava 400 lire al chilo, ora ne costa 2.000». In una casa siriana anche il tè (passato da 6.000 a 22.000 lire al chilo) e lo zucchero (passato da 400 a 1.500 lire al chilo) sono molto importanti e Mariam si considera una privilegiata visto che può ac- quistare «persino la carne». «Un chilo di carne ora costa 5.000 lire – dice – prima costava 2.800». Il pane è rimasto a costo a calmierato (50 lire a busta) ma solo per chi ha un tesserino rilasciato il governo.
Online circolano video di persone affamate che dicono di non avere i mezzi per sostentare le loro famiglie, ormai vivono solo di pane e zaatar (un trito di erbe e sesamo essiccati). Per capire l’impatto di questi aumenti di prezzi è utile sapere che lo stipendio mensile medio di un dipendente statale in Siria è di 40.000 lire siriane mentre arriva a 150.000 nel settore privato. Secondo il Programma alimentare delle Nazioni Unite la popolazione siriana sta affrontando una crisi alimentare senza precedenti, con i prezzi degli alimenti di base a livelli mai visti neanche nel pieno del conflitto. Solo negli ultimi mesi il numero di persone che sono ridotte in condizioni estreme sono aumentate circa un milione e mezzo portando a quasi 10 milioni il numero di siriani che vivono nell’insicurezza alimentare.