La Stampa, 28 giugno 2020
Intervista al gallerista Thaddaeus Ropac
Thaddaeus Ropac è un gallerista austriaco specializzato in arte contemporanea internazionale. Ha fondato la Galerie Thaddaeus Ropac nel 1981 e oggi rappresenta oltre 60 artisti con le sue gallerie a Salisburgo, Parigi Le Marais, Parigi Pantin e Londra.
Dove si trova?
«Sono a Salisburgo perché, a marzo, quando il Covid ha bloccato tutto, ero a Monaco, volevo andare a Londra ma era impossibile, e così sono venuto a Salisburgo, la mia città. Negli ultimi 30 anni non ho mai trascorso così tanto tempo in un posto. Ora sono pronto a tornare in pista. Abbiamo riaperto tutte le gallerie e anche il nostro ufficio a Hong Kong».
Come ha trascorso gli ultimi tre mesi?
«Supportiamo 60 artisti, dovevo parlare con loro, tenermi in contatto con i loro studi, fare i preparativi, perché quasi tutte le mostre sono state rinviate. Alex Katz ha dovuto rimandare una grande mostra a San Paolo in Brasile, a cui abbiamo lavorato insieme. Ogni giorno c’era qualche cambiamento. George Baselitz aveva una mostra in programma al Centre Pompidou di Parigi, ma è slittata di un anno. Dobbiamo occuparci di nuove collocazioni e assicurarcele».
Qualcuno degli artisti che rappresenta si è ammalato?
«No, per fortuna, ma abbiamo perso degli amici. Germano Celant (critico d’arte genovese, fondatore del movimento Arte povera, ndr) era un caro amico. L’ho visto a febbraio ed è stato terribile apprendere che è stato vittima del virus».
Avevano paura gli artisti?
«Non così tanto. Sono abituati alla solitudine e a creare da soli. Hanno sfruttato questo periodo di isolamento per realizzare alcuni dei loro lavori migliori. Ho visto fotografie di ciò che ha fatto Anselm Kiefer, e sono andato nello studio di Georg Baselitz qui a Salisburgo. Il loro lavoro è mozzafiato. Spero di andare presto a Parigi per vedere di persona il lavoro di Kiefer».
Sta organizzando una mostra di Kiefer a luglio a Salisburgo?
«Sì, riguarderà il lavoro svolto prima dello scoppio della pandemia».
Cosa sta succedendo nel mercato dell’arte?
«Fino a inizio di maggio, tutto è stato chiuso. Non era il momento di vendere arte. Ora le cose sono cambiate. I collezionisti vogliono tornare a darsi da fare. Non credo che la gente viaggerà molto, ma abbiamo aperto una mostra di Daniel Richter il 6 giugno ed è andata molto bene e abbiamo voluto renderla accessibile anche online. I collezionisti non possono stare troppo a lungo senza guardare e acquistare arte».
I prezzi scenderanno?
«Non credo. Ci sarà un ritmo più lento di vendita. È vero che alcuni cercano di fare offerte, ma non tagliamo i nostri prezzi. Non c’è motivo di farlo. La pandemia non ha nulla a che fare con il valore di un’opera d’arte, e difenderemo i nostri artisti. All’inizio molte vendite erano state sospese. L’appuntamento di Basilea è stato annullato e non sappiamo nemmeno se si svolgerà Frieze. Ci vorrà un anno per tornare al ritmo di prima. Per il momento, il nostro fatturato diminuirà e venderemo molto meno. Le fiere si svolgeranno solo online. Ma la gente tornerà nelle gallerie d’arte che offrono agli artisti la migliore soluzione possibile per mostrare le loro opere grazie allo spazio, alla luce, all’atmosfera. E possono essere visitate in sicurezza con il distanziamento sociale».
E le aste?
«Non avranno problemi a lungo termine. Hanno un ruolo fondamentale nel mondo dell’arte e sappiamo per esperienza che si riprenderanno. Sono ottimista e penso che nel prossimo futuro torneremo a un senso di normalità. Siamo tutti cambiati in varia misura vivendo questa esperienza, ma il mondo dell’arte si riprenderà».
È stato difficile per lei?
«Ho più paura per le gallerie più giovani che stanno avviandosi ora e rappresentano giovani artisti».
Cosa si può fare?
«Dobbiamo pensare a come aiutare queste giovani organizzazioni a sopravvivere. Sono il futuro dell’arte. Ad esempio, con il mio team abbiamo organizzato nella mia galleria a Pantin, alla periferia di Parigi, un evento per settembre a cui inviteremo sessanta giovani artisti rappresentati da venti o venticinque gallerie di Parigi, Marsiglia, Lione e altri luoghi. La nostra galleria con tutte le sue infrastrutture collabora con Jeune Création, un’organizzazione no profit che aiuta i giovani. Il loro team farà la selezione degli artisti e noi li promuoveremo, forniremo una piattaforma e il supporto del nostro team».
Ha percepito una certa solidarietà nel mondo dell’arte?
«Sì. Molte grandi gallerie stanno trovando un loro modo per aiutare, come Jeffrey Deitch a Los Angeles, Sadie Coles a Londra, Perrotin a Parigi e David Zwirmer a New York. Molte su piattaforme online».
Com’è la situazione in Austria?
«Devo dire che è gestita bene. A Salisburgo non c’è nemmeno una persona infetta. La situazione non è degenerata. Ogni settimana alleggeriscono le regole e sono tutti molto responsabili».
E lei?
« Sono fortunato, ho un giardino e sono diventato più sano. Ho perso peso e ho fatto sport. Lavoravo 10 ore al giorno su Zoom, ma quando andavo in bici per un’ora al mattino e un’ora alla sera era un paradiso. Prima viaggiavo in continuazione, ogni tre giorni ero in aereo, e fermarmi per due mesi e mezzo è stata una grande esperienza. Ma non vedo l’ora di tornare a New York, Parigi, Londra».
Che cosa ha imparato da questa periodo di pandemia?
«È stata una lezione di umiltà dare uno sguardo alle nostre vite e rivalutare, ridare priorità e rallentare e riflettere. Ma non ho paura. Sarò il primo a prendere un aereo. Dobbiamo imparare come affrontarla, come stare attenti, come proteggerci ma andare avanti».
Pensa che ci sarà molta povertà?
«Non c’è dubbio che sulla povertà la pandemia ha avuto un grande impatto. Quelli che stanno peggio hanno sofferto di più. Spero davvero che questo punto venga affrontato nella ripresa dai governi e da noi nella società. Sono ottimista. Ho attraversato la crisi del 1988 quando la mia galleria aveva solo cinque anni e stava lentamente crescendo. C’è stato un crollo in borsa, non ero preparato e ho dovuto lavorare duramente. Nel 1991 ci fu un’altra crisi, ed ero un po’ più preparato. Ma poi ho imparato che le crisi vanno e vengono e questo a lungo andare ti rende più forte». —
Traduzione di Carla Reschia