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 2020  giugno 28 Domenica calendario

L’amore tra Shelley Winters e Vittorio Gassman

«Una volta ho girato un film in Inghilterra: faceva così freddo che per poco non mi sposavo». Shelley Winters era divertente, imprevedibile e ribelle, ma nelle sue battute rivelava sempre la voglia di piacere e una grande necessità di calore. Aveva una personalità forte e sensibile, e si vantava di avercela fatta, nella vita, grazie alla sua chutzpah. Usava con orgoglio il termine yiddish con cui si intende la sfrontatezza, perché ne aveva da vendere e ne dava dimostrazione in ogni incontro. Il giorno che la conobbi mi parlò dell’amicizia con Marilyn Monroe, con cui condivise un appartamento a Hollywood: «La prima cosa che facemmo fu acquistare scarpe identiche con tacchi a spillo, su cui scrivemmo a penna FM. Nessuna di noi due aveva quelle iniziali, e quando ci chiedevano cosa significasse rispondevano: "fuck me"». A quel punto scoppiava in una risata contagiosa: era una miniera di aneddoti, tutti folgoranti, e non sempre tutti veri.
Il magnifico talento di attrice lo vedevi anche quando raccontava di aver avuto relazioni con Sean Connery, Marlon Brando, William Holden, Burt Lancaster ed Errol Flynn. Oltre i quattro mariti: Mack Paul Mayer, Anthony Franciosa, Gerry De Ford e Vittorio Gassman, che ricordava con passione. Una volta mi raccontò che quando venne per la prima volta in Italia voleva far bella figura con quell’uomo bellissimo e pieno di talento che pensava troppo alle altre donne. «Mi portò in un ristorante dove si mangiava dell’ottimo pesce, e io per fare colpo decisi di fare le ordinazioni in italiano, ma invece di ordinare pasta con le cozze dissi cazzi». A questo punto Shelley esplose in una risata. «Il cameriere fece finta di niente ma Vittorio si mise a ridere, trascinando anche lui. Siamo stati sposati solo due anni, ma ci siamo amati molto, e ogni volta che vedo nostra figlia Vittoria capisco che tra di noi c’era qualcosa di profondamente solido, oltre l’attrazione fisica, le risate e le litigate». 
Per capire meglio questa personalità strabordante è necessario ricordarne il retroterra. Era nata a St. Louis, nel Missouri, con il nome di Shirley Schrift da genitori ebrei, provenienti dall’Austria. È cresciuta a New York nei Queens ma appena la famiglia si trasferì in California decise di conquistare Hollywood. Ha visto di persona abusi e soprusi ai danni di molte aspiranti attrici, e si è accorta subito che il talento non era la condizione necessaria per sfondare nella città degli angeli. Aveva un notevole sex appeal, ma sapeva di non essere travolgente come Marilyn, e la sua forte personalità era fonte di problemi: intimidiva i registi e i produttori le preferivano attrici più mansuete. La sua irresistibile ascesa è dovuta alla chutzpah, e alla capacità di adattarsi alle regole di Hollywood senza tuttavia cedere nella propria dignità.
A inizio carriera era condannata a quello che a Hollywood chiamano typecasting: l’essere scritturata perennemente nello stesso ruolo. Innumerevoli i film in cui interpreta la moglie infelice e tradita, anche bellissimi quali La morte corre sul fiume e Lolita: nonostante il typecasting, riesce a regalarci in entrambi i film delle interpretazioni straordinarie per umanità e profondità. Non è molto diverso il ruolo in Un posto al sole, l’ottimo adattamento di Una tragedia americana di Theodore Dreiser: nel film di George Stevens riesce a oscurare due divi del calibro di Montgomery Clift ed Elizabeth Taylor. Nel lavoro di attrice dello studio system si annidava un’altra trappola rischiosissima: la miscela tra bellezza non convenzionale e personalità prorompente portava i produttori a ritenerla ideale solo per i ruoli da caratterista. Fu ancora una volta la chutzpah a darle la forza necessaria per convincere i produttori a ottenere una chance come protagonista. Poche attrici come lei rappresentano l’affermazione del talento sullo stereotipo hollywoodiano, e la sua vittoria su scelte pigre ha aperto le strade alle generazioni successive. 
Shelley è riuscita a vincere ben due Oscar, per Incontro a Central Park e Il diario di Anna Frank, diventando una delle più ascoltate consulenti nella scoperta di nuovi talenti. Nonostante il trionfo cinematografico ha continuato a prediligere il teatro, dove aveva debuttato nel 1941 in un memorabile The night before Christmas. «Devo molto a Charles Laughton: ho studiato con lui il teatro shakespeariano. L’altra mia grande scuola è stata l’Actors’ Studio dove incontrai per la prima volta Marilyn». 
La sua statura d’attrice fece di lei l’unica scelta possibile quando si trattò di sostituire Bette Davis nella Notte dell’iguana, e la stessa Davis, mai ben disposta verso le rivali, ne riconobbe pubblicamente la grandezza. Lei ricambiò definendola la più grande insieme ad Anna Magnani. Liberal convinta, ha fatto campagna elettorale in prima persona per tutti candidati democratici dai tempi di Adlai Stevenson sino alla sua morte, e si è distinta per le battaglie a difesa dei diritti delle donne, a volte con gesti spettacolari. Una sera partecipò al Johnny Carson Show con Oliver Reed, il quale, fece una serie di battute estremamente misogine. Indignata, gli rovesciò un bicchiere di whisky in testa. In quel periodo il marito Anthony Franciosa aveva una relazione con Lauren Bacall, che un giorno telefonò proprio a lei per chiederle dove fosse. Al suo sconcerto Bacall rispose: «Se tuo marito non rispetta il vostro matrimonio, perché dovrei rispettarlo io?». Quando raccontava questa storia, Shelley trovava la forza di riderne, ma era stato uno dei momenti più umilianti. «Il modo migliore per capire un uomo è andare a pranzo con la sua ex moglie» raccontò in seguito, e aggiunse che aveva capito che il suo matrimonio era finito dal modo in cui il marito si era messo a guardare la statuetta dell’Oscar quando era tornata a casa dopo la sua seconda vittoria. «Joanne Woodward era brava come Paul Newman, ma capì che per salvare il matrimonio avrebbe dovuto fare un passo indietro: è riuscita nel suo intento e Paul è diventato una superstar».
Sono stati i registi indipendenti a offrirle ruoli da protagonista: fu Roger Corman a farle interpretare Ma Barker, la donna a capo della omonima banda criminale, e lei lo ripagò con una delle sue migliori interpretazioni. Ma appena poteva tornava a Broadway: nel 1970 scrisse One night stand of a noisy passenger, e convinse il regista a scritturare un attore sconosciuto che fino a quel momento aveva ricevuto solo parti da caratterista: il suo nome era Robert De Niro.