la Repubblica, 28 giugno 2020
L’uomo della strada non c’entra
Insultato pesantemente su Facebook da un collega («torna nella fogna»), un noto virologo ha così commentato: «So che sui social può accadere di tutto, ma certe cose me le aspetto dall’uomo della strada, non da una persona che è due volte dentro le istituzioni (Oms e Cts)». Mancano studi in proposito – anche perché si tende a esercitarsi su materie più nobili – ma non credo che «l’uomo della strada», quanto all’uso violento dei social, sia per principio peggiore della persona bene introdotta. E anzi. Il “lei non sa chi sono io”, come innesco di molte risse tra cliccatori in crisi di nervi, non ha eguali. Frustrazioni professionali o rivalità interne alle varie corporazioni trasformano rispettabili dottori, esimi professori, firme seminote e perfino note, in linciatori provetti, in efferati calunniatori. L’uomo della strada, semmai, segue, ingrossando le fila della folla urlante, ma il primo sasso non lo ha lanciato lui. Non c’è linciaggio politico che non cominci dalla tastiera di qualche staff ben remunerato, non c’è bersaglio d’odio che non venga additato da qualcuno che già lo odia da prima, per ragioni che con i social non c’entrano nulla. Il mezzo non è il messaggio. Nel mio piccolo curriculum di bastonature social, raro è l’anonimo odiatore, comunque parte del codazzo insignificante che si forma a cose fatte. Sono giornalisti e professori, ex compagni ed ex amici, spesso tutt’altro che mezze tacche, a prendere la mira per primi. Quando sente l’odore del sangue, accorre anche l’uomo della strada: ma non è lui il mandante.