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 2020  giugno 28 Domenica calendario

Princeton cancella Woodrow Wilson

L’Università di Princeton, una delle più prestigiose del mondo, cancella il nome del presidente Woodrow Wilson che ne fu il rettore. La giustificazione: era razzista. Nella campagna per eliminare dal paesaggio degli Stati Uniti ogni traccia del passato schiavista o segregazionista, l’ultima vittima eccellente è un leader che fu considerato tra i più progressisti della storia. Il consiglio d’amministrazione dell’ateneo però non ha avuto esitazioni: «Il pensiero e le politiche razziste di Wilson – si legge nel comunicato del Board of Trustees di Princeton – rendono il suo nome inadatto a un’istituzione i cui studiosi e studenti devono combattere il razzismo in tutte le sue forme».L’attuale successore di Wilson alla guida dell’università, Christopher Eisgruber, ha confermato che farà scomparire il nome dello statista, in particolare dalla facoltà di Scienze politiche, Relazioni internazionali e Pubblica amministrazione a lui intitolata (Woodrow Wilson School of Public and International Affairs). Questa decisione, presa sull’onda della campagna nazionale dopo l’uccisione di George Floyd, è un dietrofront totale rispetto a quella di quattro anni fa: nel 2016 infatti le autorità accademiche di Princeton avevano deciso di conservare il nome di Wilson su diversi edifici e programmi universitari. Allora aveva prevalso il Wilson “buono”, quello che è rimasto nella storia per l’eredità progressista della sua presidenza.
Nato nel 1856 in uno Stato del Sud, la Virginia, il democratico Wilson dopo la carriera accademica fu eletto alla Casa Bianca per due mandati e governò dal 1913 al 1921, quindi a cavallo della prima guerra mondiale. Nel resto del mondo fu proprio il suo ruolo nella politica estera a farne uno dei leader americani più amati e rispettati. Precursore di Franklin Roosevelt, fu lui a salvare una prima volta l’Europa dal militarismo della Germania. Dopo la vittoria militare la Società delle Nazioni per risolvere pacificamente le controversie fra Stati (anche se poi il Congresso repubblicano sabotò la partecipazione degli Usa). Nei suoi “Quattordici Punti” espose l’idea di un nuovo ordine internazionale basato sulla liberaldemocrazia e l’autodeterminazione dei popoli. Ebbe scontri duri con la Gran Bretagna e la Francia che difendevano i propri imperi coloniali. Nelle sue tournée europee Wilson veniva acclamato come un benefattore. Anche negli Stati Uniti la sua azione di governo ebbe un’impronta progressista: introdusse per la prima volta una tassazione progressiva con aliquote “socialiste” (77%) sugli alti redditi, e un’imposta di successione con effetti redistributivi. Rafforzò l’antitrust.
Tutto questo non conta più, in un clima dove le frange più radicali della sinistra e del movimento Black Lives Matter guidano la grande epurazione dei personaggi storici sulla base delle loro credenziali anti-razziste. Su quel fronte Wilson, primo esponente del Sud eletto alla Casa Bianca dopo la guerra civile, non passa gli esami. Mantenne la segregazione all’interno dei vari rami dell’Amministrazione federale, esercito compr eso. Inoltre aveva una visione tipica di molti uomini del Sud riguardo alla Ricostruzione, il periodo successivo alla guerra civile, considerandolo un’epoca segnata da sopraffazioni da parte dei vincitori nordisti.