La Lettura, 27 giugno 2020
I colori del sangue
C’è qualcosa d’irraggiungibile nel sangue di un padre.
Il sangue amaranto di mio padre
l’ho visto poche volte, quasi mai
perché lo nascondeva,
quasi ne fosse geloso,
o se ne vergognasse,
qualche crosta, qualche sbucciatura
fatta in barca, in solitaria felicità,
sangue sempre già secco, rappreso,
mai sgorgante, liquido, caldo,
ho visto molto più il suo sesso che il suo sangue,
davvero,
il sesso ciondolante dal quale provenivo
quello gliel’ho visto tante volte
— mentre i miei figli il mio non l’hanno mai visto,
ora che ci penso,
nessuno di loro, ne sono certo,
perché io ho sempre nascosto quello
e di quello mi vergogno
e avranno comunque tutto il tempo di vederlo
quando sarò malato e mi assisteranno,
cateteri, padelle, pappagalli,
e non ci sarà più verso di occultarlo,
ma finché ci sarà verso,
finché sarò in grado di farlo,
io glielo nasconderò
come mio padre ha fatto col suo sangue,
il sangue amaranto di mio padre,
c’è qualcosa di osceno nel sangue di un padre.
C’è qualcosa di antichissimo nel sangue di una madre.
Il sangue trasparente di mia madre,
quello non l’ho visto proprio mai,
ci ho sguazzato dentro
e ci sono quasi morto,
prima ancora di nascere,
due giri di cordone attorno al collo,
o lei o il bambino, ingegnere,
lei,
la sua risposta commovente,
lei,
non facciamo scherzi, dottore,
lei,
perché l’amava come un disperato,
e un disperato sarebbe stato senza di lei,
ma poi ce l’abbiamo fatta entrambi
consustanziali nell’abbraccio di quel sangue
che dopo di allora non ho mai più visto,
ma proprio mai,
non ricordo tagli, punture di zanzara,
nulla,
nessuna cicatrice,
questa era la sua forza,
mia madre non aveva ferite
e il sangue non aveva bisogno di nasconderlo
perché era blindato, corazzato
dalla sua pelle morbidissima,
il sangue trasparente di mia madre,
c’è qualcosa che non c’è nel sangue di una madre.
C’è qualcosa che è stato nostro nel sangue di un fratello.
Il sangue viola di mio fratello
anch’esso sempre vecchio, quasi secco
sangue d’incidenti accaduti altrove
dove io non ero,
dove non potevo proteggerlo,
dove lui non voleva essere protetto,
sangue della sua vita non più mia
dopo che mia era stata, oh sì
— io ero un giocattolo suo,
e lui un giocattolo mio,
così funzionava,
quando lo mettevo dentro allo scatolone
e lo trascinavo per la casa
sbattendolo contro i muri come un bob,
e lui rideva
come non ha mai più riso nessun altro
e ridevo anch’io
come non ho riso mai più.
Era il sangue della sua indipendenza da me
occultato ai nostri genitori
per paura di punizioni
perché aveva fatto l’incosciente,
occultato a loro ma non a me
perché io vedessi che lo versava lontano da me
e perciò anch’esso vecchio, fermo, duro,
però non morto come quello del padre,
il sangue viola di mio fratello,
c’è qualcosa di straniero nel sangue di un fratello.
C’è qualcosa di bruciante nel sangue dei figli.
Il sangue rosso dei miei figli,
vivo, acceso, palpitante,
due di loro, i primi due,
hanno fatto la stessa scoperta,
ma separatamente, questo è il bello,
intorno ai cinque anni, entrambi, e cioè
che è proprio il sangue a causare il dolore:
uno si ferisce, dalla ferita esce il sangue
ed è il sangue a far male, il sangue versato,
come fosse mercurio, stricnina, olio bollente.
Hanno scoperto questo
e perciò sono stati sempre attenti
e ne hanno sempre versato poco,
mentre il terzo, lui ha sperimentato
e si è ferito cento volte, e poi cento,
e poi ancora cento,
e il suo sangue è zampillato ovunque
dalle braccia, dal volto, dal palato molle,
imbrattando il suo corpo provvisorio
e anche il mio che lo soccorreva,
e così il suo sangue mi ha compensato
dell’ostinazione con cui tutti gli altri
mi hanno sempre nascosto il proprio,
e se ora so che il sangue degli altri e il mio
sono la stessa cosa
il merito è suo,
il sangue rosso di mio figlio,
c’è qualcosa d’implacabile nel sangue di un figlio.