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 2020  giugno 27 Sabato calendario

Intervista a Nicholas Sparks

Per capire bene il «fenomeno Nicholas Sparks» – vale a dire cento milioni di copie vendute nel mondo di cui cinque solo in Italia —, bisogna risalire al primo capitolo de Le pagine della nostra vita (1996), terzo capoverso. Qui il protagonista, dopo una breve premessa sull’autunno dell’esistenza, dice: «Per i romantici questa è una storia d’amore; i cinici la definirebbero una tragedia». Ecco spiegato quel fortunato fraintendimento che ha trasformato Sparks in uno degli autori più popolari nel mondo: da una parte c’è lui che insiste nel definirsi uno scrittore di «drammi di vita vissuta», fulminando con gli occhi chiari chiunque pronunci la parola «romance», e dall’altra ci sono milioni di persone, soprattutto donne, che in ogni sua storia vedono (vogliono?) una storia d’amore.
«Be’, ogni storia d’amore è unica», esordisce il 54enne Sparks in una delle rare interviste che concede, cioè questa. La prima in Italia, Paese che, assieme alla Germania, pubblica in anteprima il suo ultimo romanzo, La magia del ritorno, tradotto da Alessandra Petrelli per Sperling&Kupfer, in libreria dal 30 giugno.
Se ai profani può sembrare una frase scontata, gli ortodossi del culto di Sparks riconoscono qui il cuore di una liturgia narrativa che prende vite normalissime, quasi banali, per trasfigurarle in odissee sentimentali dal respiro grandioso.
E così, quando nelle prime pagine dei suoi romanzi scorgete grigi manager dalla carriera appannata o «mammi» improvvisati e dalle dubbie capacità casalinghe, non fatevi illusioni: dopo qualche migliaio di righe e di approcci imbranati, li ritroverete splendenti come semidei dell’amore – se gli va bene possono pure diventare demiurghi dell’eros applicato.
Ne La magia del ritorno, si parte da Trevor Benson, chirurgo a riposo e veterano della guerra in Afghanistan, un uomo ferito dentro e fuori che fa ritorno nella casa d’infanzia in North Carolina, sulle tracce del nonno. Dopo pochissime pagine, guarda caso, si imbatterà in una donna, bella e dalla scontrosa grazia, per citare Umberto Saba.
Le premesse sembrano quelle di una vicenda umana che si innesta nella Storia, ma poi arriva l’intreccio amoroso.
«Come sempre, io parto dalle vite. In questo caso da Trevor, uno dei tantissimi soldati che hanno servito il Paese in aree pericolose oltreoceano, che sono tornati a casa con un disturbo post traumatico e che spesso sono rimasti senza lavoro. Un destino toccato anche ad alcuni miei amici. Ancora una volta prendo le mosse da quello che conosco: qui nel North Carolina, dove vivo, ci sono tante basi militari, da Camp Lejeune alla Seymour Johnson Air Force Base fino a Fort Bragg».
Poi però ecco Natalie, affascinante poliziotta che pare messa lì per scompaginare la solitudine riflessiva di Benson. Ammette che c’è almeno l’intenzione di creare il «romance»?
«Ma è una storia antica quanto la tragedia greca, anche quelle erano storie di sentimenti! Guardi Euripide o Sofocle».
Va bene, mettiamola così: nel caso di Trevor Benson l’escalation amorosa procede di pari passo con lo scavo in un passato misterioso dove naturalmente l’amore sarà la chiave di tutto.
«Certo, perché tutte le storie d’amore hanno bisogno di una sorta di “conflitto”, un motivo che rende difficile per la coppia stare insieme. A volte, questo può essere un brutto approccio iniziale, come nel romanzo L’ultima canzone, o un uomo che non vuole impegnarsi (Un cuore in silenzio), o una donna che è fidanzata con un altro (Le pagine della nostra vita). Senza conflitto alle storie viene a mancare il dramma».

Ecco quella che gli anglosassoni hanno definito la «Nicholas Sparks Formula», il codice cifrato di un successo letterario tradotto in cinquanta lingue e in dieci film: parlare d’amore parlando d’altro. Scansare le facili etichette, ammiccare alle lettrici del genere rosa con copertine molto simili tra loro (tutte cielo, mare e corpi in bilico sull’orizzonte) ma mai e poi mai cedere alle categorie, rifiutando l’orgogliosa e autoironica baldanza con cui altri scrittori maschi – per esempio Marc Levy – ammettono che l’amore fa vendere eccome. Tutto questo richiede intelligenza, consapevolezza di essere prima di tutto sistema narrativo bene organizzato, con tanto di brand da difendere e, soprattutto, diplomazia intellettuale.

A proposito della «Nicholas Sparks Formula», che cosa pensa di questa definizione coniata qualche anno fa?
«Se mai ci dovesse essere una formula nell’amore o nelle mie storie, io penso che questa risieda nell’unicità di ogni relazione sentimentale. Io mi sforzo di costruire, ogni volta, un legame che abbia caratteristiche assolutamente originali. Prendiamo per esempio Trevor e Natalie, i protagonisti dell’ultimo romanzo: hanno poco a che spartire con Allie e Noah de Le pagine della nostra vita. Per non parlare delle vicende di Landon e Jamie de I passi dell’amore».
Questo è vero, perché è come se in ogni libro lei volesse ricreare tanti piccoli pianeti dotati di un proprio ecosistema e di proprie regole.
«Quello che mi interessa, in ultima analisi, è che nell’esistenza reale ogni lettore e ogni lettrice si rendano conto che la loro stessa vita è irriproducibile. Ecco perché non amo molto gli schemi pre-definiti dei generi. Mi piace dire che racconto storie e basta. Vuole un esempio?»
Prego.
«Ne La magia del ritorno, prima di mettere bene a fuoco la figura di Trevor, mi sono fatto delle domande. Mi sono chiesto: come raccontare la vita di un uomo che è stato in guerra, che è tornato con un serio disturbo psichico, che si ritrova anche senza lavoro? Prima ancora dell’intreccio sentimentale conta lo spessore delle singole vite. Più chiari sono i contorni dei protagonisti e meglio riuscirà il racconto. Sarà più verosimile, godibile per il lettore che ci si immergerà».
Lei è molto abile nel raccontare non solo l’amore ma anche il dolore maschile. Tanti suoi protagonisti sono il contraltare delle «donne difficili» della letteratura al femminile. Come si fa a entrare in questo meccanismo così delicato e poco frequentato dagli scrittori?
«Anche qui, lo faccio sempre partendo dal presupposto che non tutti abbiamo la stessa reazione al dolore. Osservi bene le mosse di chi viene ferito, specie se parliamo di uomini: per qualcuno la sconfitta o il dolore sono causa di depressione o di abbattimento psicologico; per altri, però, la sconfitta può diventare un incentivo a fare meglio o almeno a reagire».
Ancora una volta nei suoi libri lei cuce vite su misura.
«Esattamente, perché così le cose diventano più plausibili, le reazioni più spontanee. In questo ultimo romanzo c’è un uomo che mette da parte l’aspetto della sua personalità che lo ha portato a diventare medico. Ma quando decide di guarire, sia fisicamente che psicologicamente, andrà a riappropriarsi di quel brandello di personalità».
Va bene Nicholas, mettiamo da parte per qualche istante la cosiddetta «Sparks Formula». Se lei dovesse riassumere la chiave autentica del suo successo planetario come la definirebbe?
«Molti romanzieri dicono che “è facile scrivere la migliore storia possibile”. Tutti i grandi romanzi hanno poche e coerenti regole: la trama deve essere interessante e apparire originale; i personaggi devono essere sviluppati e seguiti con cura; le “voci” devono far sentire ogni singolo personaggio autentico; lo stile deve essere appropriato al romanzo stesso; il libro deve essere strutturato in modo da far girare le pagine con golosità e, infine, il romanzo non deve essere né troppo breve né sterminato. Ogni volta che scrivo tengo presente queste regole».
Lei una volta ha detto di essere determinato a inseguire i suoi sogni, qualsiasi essi siano. Bene, oggi quali sono i suoi sogni?
«I desideri ci aiutano a capire chi siamo. Però cambiano, o almeno possono cambiare. Così da giovane puoi sognare di diventare un astronauta, ma da vecchio, una volta che hai scoperto i tuoi veri punti di forza, quel sogno può cambiare. Bene, mi accorgo che oggi i miei sogni sono gli stessi che mi hanno tenuto compagnia per anni. Ogni volta che mi siedo per cominciare un nuovo libro, dico a me stesso: “quello!”, indicando dentro di me il migliore che possa uscirne».
In tutta questa lunga intervista lo scrittore di sentimenti più popolare al mondo ha pronunciato la parola «amore» solo due volte. Strano? Forse no.