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 2020  giugno 27 Sabato calendario

Lancillotto come non l’abbiamo mai letto

Il re saraceno Evalac, in guerra contro Tolomeo, è sul punto di essere sconfitto quando, invocando la croce dello scudo, gli appare un misterioso salvatore che lo porta alla vittoria. Decide dunque di convertirsi al cristianesimo prendendo il nome di Mordrain: da quindici anni era solito accedere in una stanza segreta per avere rapporti sessuali con una bambola di legno riccamente abbigliata ma ora, a conferma della sua conversione, Mordrain decide di bruciarla. Tuttavia non se la caverà tanto facilmente e verrà rapito dallo Spirito Santo, mentre il cognato Nascien viene accusato della sua scomparsa. Finirà immobilizzato su un’isola rocciosa chiamata Porto del Pericolo, dove è preda di visite ultraterrene e di tentazioni demoniache. Seguono inseguimenti di mani celesti, missioni di messaggeri, una fuga di Nascien sull’Isola Rotante, luogo prodigioso che ruota su sé stesso, spinto da misteriose forse magnetiche e astrali. E ancora: apparizioni enigmatiche, luoghi selvaggi, conversioni fatali, navi salvifiche come quella di Salomone, un leone mansueto e un gigante feroce, la spada spezzata e la spada infuocata, un barcone colmo di cadaveri che una tempesta marina sospinge verso l’Isola di Ippocrate.
Che cos’è l’Isola di Ippocrate? Potete saperlo andando avanti nella lettura de La storia del Santo Graal, una catena di eventi, colpi di scena, prodigi, azioni impossibili e apparizioni improbabili, gesta eroiche e viltà senza perdono. Niente paura. È solo il primo dei sei romanzi appartenenti al cosiddetto ciclo della Vulgata, che narra le imprese di Re Artù ambientate tra V e VI secolo, dei cavalieri della Tavola Rotonda e di Lancillotto, oltre alla leggenda del calice di Gesù. Una serie di bestseller medievali, tra loro concatenati a formare una sola colossale opera composta tra il 1215 e il 1235 da un autore ignoto (forse non solo uno) nella Francia del Nord e destinata a influenzare l’immaginario narrativo occidentale dei secoli successivi. Detto ciò, appare incredibile che questo monumento della letteratura non sia mai stato tradotto integralmente in italiano e che solo ora, con il primo volume di un Millennio Einaudi (Artù, Lancillotto e il Graal, a cura di Lino Leonardi), si cominci a colmare la lacuna. In realtà, persino la Francia è arrivata tardi a offrire al suo lettore l’intera serie, se è vero che solo a partire dal nuovo millennio la Pléiade ha pubblicato l’opera completa nell’estensione fluviale primitiva.

Siamo alle origini della letteratura fantasy, quella di Walpole, di Baum, di Tolkien, che discende per molteplici rami e combinazioni nordiche e orientali fino a Harry Potter, alle saghe letterarie, cinematografiche, televisive di Excalibur, delle nebbie di Avalon, delle cronache di Narnia, dei Troni di Spade e dei Troni di Ghiaccio e chi più ne ha più ne metta, arrivando alla coda estrema dei videogame. Senza dimenticare le illustri discendenze immediate, filologicamente più aderenti, come il grande ciclo del Tristano in prosa e poi, tra Quattro e Cinquecento, i poemi di Boiardo e Ariosto e il capolavoro di Cervantes. Opportunamente Leonardi ricorda che la produttività letteraria del Graal giunge intatta fino al Codice da Vinci di Dan Brown.
Fantasia scatenata che declina echi delle Sacre Scritture con le avventure cavalleresche, il racconto rocambolesco, il romanzo storico, l’esoterismo e gli scenari gotici: un immenso patrimonio narrativo, la cui ricchezza si offre generosamente alla memoria dei posteri. Aprendo la sua Introduzione, è sempre Leonardi a evocare il bacio che legò Paolo e Francesca e che fu propiziato dalla lettura del romanzo di Lancillotto, e in particolare della scena del primo approccio tra il prode cavaliere e la regina Ginevra. Questo per dire della diffusione inaudita che quel «libro galeotto» ebbe al tempo di Dante e ben oltre (anche come romanzo rosa).
Intanto, in questo volume iniziale dei quattro previsti, Einaudi propone una prima trilogia romanzesca pressoché sconosciuta al pubblico italiano: oltre alla citata Storia del Santo Graal, La storia di Merlino e Il seguito della storia di Merlino. In attesa che arrivino il dittico su Lancillotto del Lago, La ricerca del Santo Graal e infine La morte di re Artù, che chiude il ciclo senza il lieto fine che forse il lettore moderno si aspetterebbe. Quattromila pagine non semplici da avvicinare, ma spesso irresistibili, grazie a una materia risalente al folclore celtico rielaborata o reinventata in prosa francese con strategie narrative di straordinaria modernità: basti pensare alle strutture a incastro, con sospensione delle scene e ripresa a distanza, alle tecniche di gestione dei personaggi, alla molteplicità degli intrecci, ai dialoghi, alla mescolanza di finzione e di storia (un po’ docufiction, ma più fiction che docu-).
Le figure di Re Artù e della sposa Ginevra, del profeta Merlino e del cavaliere Gauvain compaiono qua e là, precedentemente, in cronache inglesi e gallesi, ma le ritroviamo insieme, dentro una narrazione organica, nella grande opera latina di Goffredo di Monmouth Storia dei re di Britannia (1136-1138), mentre un primo accenno alla Tavola Rotonda quale strumento utilizzato da Artù per gestire il governo dei baroni si affaccia in un romanzo francese in versi del 1155, il Brut di Wace. Lancillotto, associato al Leitmotiv del Graal, viene celebrato in un paio di opere dal maggior poeta francese del XII secolo, Chrétien de Troyes, al quale si deve probabilmente l’inserimento del misterioso recipiente nel contesto della cavalleria, pur ancora privo di allusioni all’Ultima Cena. Per vedere il Graal trasformato in oggetto di culto legato alla passione di Cristo, bisogna aspettare la trilogia romanzesca, sempre francese, scritta all’inizio del Duecento da un tale Robert de Boron: dove finalmente la coppa, conservata da Giuseppe d’Arimatea come contenitore del sangue di Cristo, acquista la valenza salvifica e mistica che conosciamo. Si compie così quella coincidenza fatale tra sacralità del Graal e Tavola Rotonda, tra destino di salvezza e ruolo della cavalleria su cui si fonda l’intero ciclo di Lancillotto.
È lui, il più fidato cavaliere di Artù e amante segreto di sua moglie, la regina Ginevra, simbolo dell’amor cortese: è Lancillotto, detto anche Lancillotto del Lago o «cavaliere della carretta», il protagonista assoluto della Vulgata di cui stiamo parlando, dove occupa oltre la metà dell’intero ciclo. Si parte dalle vicende di Giuseppe d’Arimatea, custode del Graal, e di suo figlio Josephé, che chiama a raccolta re e cavalieri per proteggere la reliquia, che passa dall’Oriente alle isole britanniche superando guerre, conversioni, interventi magici e soprannaturali, per trovare dimora nel castello di Corbenic presso il Re Pescatore. È lì che si palesa la profezia a proposito del più virtuoso dei cavalieri, Galaad, figlio di Lancillotto. Il quale Lancillotto è sì il modello eccelso della cavalleria arturiana ma anche il portatore tragico di un tarlo senza ritorno: la passione per Ginevra. Questa follia amorosa gli precluderà la conquista del Graal, che invece riuscirà al predestinato Galaad, capace di riportare il Santo Vaso nel suo luogo d’origine, in Medio Oriente, guadagnandosi la santità. Ciò non esclude un ultimo sviluppo tragico della vicenda, con la scoperta dell’amore fedifrago, la guerra di Artù contro Lancillotto, la morte del re e la fine del suo regno, il lockdown di Ginevra in un convento e del cavaliere suo amante in un eremo, dove muore in solitudine.
Ma ci sono mondi interi che si alternano e si sovrappongono nel gigantesco racconto anonimo, costruito sulla vicenda di Lancillotto, probabilmente il nucleo primitivo del ciclo, attorno a cui si sono affiancati agli altri organismi narrativi. Il tutto con insospettata coerenza tra avventura e salvezza in ottemperanza ai valori feudali cavallereschi (lealtà, purezza, coraggio, umiltà, magnanimità...) da diffondere nella società insieme alla componente mistica e trascendentale, culminante nella «cavalleria celeste» rappresentata da Galaad. Fa notare Leonardi come il confronto tra cristianità e islam resti ai margini della Vulgata, diversamente da narrazioni precedenti che assumevano la crociata come principio ideologico fondante. Piuttosto, qui l’obiettivo delle ostilità è rappresentato dai Sassoni o dall’imperatore di Roma, lasciando sullo sfondo i conflitti militari e dinastici delle corone francese e inglese e i rispettivi scontri con i poteri dei vassalli: in questa chiave c’è chi legittimamente ha evocato Enrico II Plantageneto come committente dell’opera.
Ma a questo punto, la prova del fuoco è quella della lettura. E a tale proposito ha un ruolo determinante la traduzione dal francese antico, che rinunciando al testo originario a fronte (per ovvie contingenze editoriali) si propone di restare in equilibrio tra il sapore del dettato medievale (spesso ridondante nel giro sintattico, nelle formulazioni e nelle endiadi) e la necessaria leggibilità per il pubblico di oggi. Si trattava dunque di semplificare senza tradire. E come si sa, la fedeltà letterale nel tradurre non è mai sinonimo di restituzione del senso profondo.