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 2020  giugno 27 Sabato calendario

Diario di scrittura di Sabino Cassese

Settantadue anni di storia repubblicana, un lungo periodo che inizia con l’entrata in vigore della Costituzione (1948) ed è punteggiato da due tornanti. Prima il 1994, quando escono di scena due dei partiti che avevano dominato la scena in precedenza, la DC e il PSI, ed entra in funzione il sistema maggioritario, che porta alla ribalta Forza Italia e a una certa alternanza al governo dei partiti di centro destra e di centro sinistra. Nel 2018, poi, un nuovo tornante, nel quale escono di scena i protagonisti della fase precedente, e si affermano il Movimento Cinque Stelle e la nuova Lega.
Quante volte mi è stato chiesto perché sono avvenuti questi cambiamenti, quali regole che li hanno governati, se è prevalsa la continuità o le cesure? Quante volte ho dovuto ripercorrere quel tracciato, illustrare come si intrecciano in questi anni globalizzazione e sovranismi, Stato e società, Costituzione e populismi, governi e comunità, élite e società? Quante volte ho dovuto spiegare che sono le istituzioni a dettare le regole e che dalle istituzioni dipende il benessere di una società, il buongoverno?
Ma come analizzare e spiegare qualcosa che è in un movimento non ancora concluso, perché l’arco della storia non ha ancora raggiunto il suo termine, che quindi non si presta alla storiografia; e non ha ancora prodotto risultati che si possano fissare in linee di una stabile architettura, da trattare con la mano dello scienziato politico o del giurista?
Ed ecco allora questo libro in forma dialogica, non narrativa né ricostruttiva, nel quale un saggio iniziale spiega la direzione del movimento, seguito da tanti dialoghi che si snodano attraverso i vari temi sopra indicati. Rispondo a centinaia di domande, questa volta non poste da altri, ma da me stesso, nella veste talora di un interlocutore passivo, talaltra di un interlocutore critico, che obietta, replica, si oppone. Così si può seguire un filo logico, ma anche fare passaggi laterali, rapidi scarti, brevi ritorni indietro; così si può ribadire, ritornare, saltare in avanti, evitare i passaggi intermedi. L’invenzione della forma non è privilegio dei soli autori di opere letterarie, di un Thomas Mann che ha scritto diari di lettura (Una traversata con il Don Chisciotte, del 1934) e diari di scrittura (Romanzo di un romanzo. La genesi del Doctor Faustus, del 1942 - 1947). Ed ecco, quindi, spiegata la struttura della seconda parte, la più ampia, di questo libro, la sua forma di «entretien», una forma portata al livello più alto da Diderot. 
Mi resta da spiegare la forma più intima del libro. In primo luogo, il modo in cui la storia è legata al quotidiano. Poi, quali nessi vengono stabiliti dall’«io narrante» con protagonisti, osservatori, diaristi. Infine, come è scelto il punto di osservazione e vengono bilanciate ombre e luci.
Per legare passato e presente, ho letto o riletto memorie, diari, interviste, bilanci di uomini di governo della storia repubblicana, che potessero dare la viva voce di chi è stato protagonista delle vicende trascorse, per metterle a raffronto con l’odierna, non sempre migliore realtà degli uomini che ci governano.
Per fare sentire la voce degli altri che si sono posti le mie stesse domande, non ho esitato a citarne l’opinione e gli scritti nel testo: non, quindi, alla fine delle mie pagine o in fondo a ogni pagina, ma nel testo, perché la loro voce avesse forza e dignità pari a quella mia. Le citazioni non sono un modo per avvalorare le mie osservazioni, ma una strada che conduce il lettore fuori, un consiglio di letture ulteriori, un suggerimento di ampliare lo sguardo, per volgerlo su altri temi, per approfondirne altri. 
Se c’è una cifra del libro, questa sta nella ricerca della intrinseca contraddittorietà o ambiguità del mondo che viviamo. Vi scorgiamo risorgenti nazionalismi, ma questi seguono la direttrice della globalizzazione che osteggiano Si pensi solo ai sovranisti che cercano di fondare reti universali, e che, quindi, col mezzo negano lo stesso fine della loro azione. Vi notiamo l’affermarsi di populismi che conducono verso un nuovo elitismo. Basta osservare quanto rapidamente i grandi manifesti per la democrazia diretta del Movimento Cinque Stelle siano passati nel dimenticatoio. Registriamo nuovi statalismi, nel senso che gli Stati vogliono controllare nuovamente le frontiere economiche, autorizzare l’entrata di imprese straniere o difendere industrie nazionali. Essi debbono, però, nello stesso tempo, proteggere quelle industrie che hanno proiezioni internazionali o i cui mercati sono fuori della nazione. Vi osserviamo una crescente domanda di partecipazione, che si risolve però in nuove forme di leaderismo, dominate dallo sviluppo di mezzi nuovi di comunicazione. Viviamo, insomma, dovunque nel mondo, nel mezzo di una fase di passaggio, una transizione da assetti consolidati verso realtà più fluide e piene di contrasti. Ecco campi nuovi, inesplorati e magmatici che si aprono agli studiosi.
Infine, per non assumere un atteggiamento partigiano, né il punto di vista piagnone degli italiani che scrivono sul loro Paese, ho voluto presentare sempre insieme ombre e luci, mai soltanto ombre, mai soltanto luci, in modo che il lettore possa spiegarsi perché un popolo di così recente nascita, un Stato che è tra i «newcomers», una industria dal tessuto così debole nelle dimensioni, siano riusciti nonostante tutto, a diventare una delle prime potenze industriali del mondo, abbiano una delle culture più universalmente apprezzate, vengano considerati campi di sperimentazione di forme nuove nella politica, nell’arte, nella scienza.