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 2020  giugno 27 Sabato calendario

La diaspora degli ebrei è scritta in cartolina

Esiste una categoria di oggetti rari, anzi rarissimi, che sono contemporanei di un’epoca. Appaiono in un particolare momento storico e lo caratterizzano - sviluppando una relazione di straordinaria prossimità con l’epoca in cui sono stati creati. Un’attualità, nel vero senso della parola. Fra questi oggetti rarissimi annoveriamo le cartoline. Le quali, tra la fine del Diciannovesimo e i primi decenni del Ventesimo secolo, hanno brillato d’attualità.
E soltanto a un altrettanto «rarissimo» studioso come Gian Mario Cazzaniga poteva venire in mente di scrivere una storia dell’ebraismo a partire da una collezione di cartoline. Rarissimo, già, perché Cazzaniga scrive poco, ma quando lo fa è poi difficile aggiungere alcunché. E perché il tema di cui si occupa è di quelli che spaventano anche i più audaci: come recitano titolo e sottotitolo, il volume è dedicato alle Diaspore. Storia degli ebrei nel mondo attraverso una collezione di cartoline. E anche se l’arco temporale trattato è quello relegato al periodo di sviluppo e diffusione delle cartoline, ciò che sottende ogni diaspora, ogni storia, ogni insediamento geografico è la complessa storia millenaria dell’ebraismo. Insomma, Cazzaniga in queste pagine tanto colte quanto piacevoli alla lettura ha l’indubbio merito di districare una vorticosa ridda di tracce, genealogie, storie; e lo fa mescolando il rigore della filologia e della storiografia al diletto della curiosità. 
Iniziamo dalla collezione di cartoline dell’autore, tutte a tema ebraico (in particolare, vedremo, dedicate ai costumi e ai luoghi di culto). Le cartoline in generale sono state un importante strumento di comunicazione e di diffusione delle immagini: nate intorno al 1870, hanno poi goduto della massima popolarità fra il 1890 e il 1920. Ora, lo stesso vale per il mondo ebraico, anzi forse ancor di più: in mancanza di una loro terra stabile gli ebrei misero su casa nei loro libri - e la forma scritta, la via narrativa per la conservazione della memoria (l’Haggadàh) trova anche nelle cartoline una sua testimonianza. La storia dell’ebraismo e delle molteplici diaspore è una pluralità di identità culturali, nate da convivenze secolari con altre culture; così Cazzaniga ci mostra come le cartoline possano essere usate per illustrare e raccontare queste forme storiche e geoculturali di identità ebraica, ma anche di come queste venivano viste e lette dalle comunità ospitanti (essendo gli editori di queste cartoline sia ebrei sia gentili) - almeno sino al XX secolo, quando le convivenze furono tragicamente spazzate via, in particolare nel mondo sunnita e in alcuni paesi dell’Europa centro-orientale. 
Per dar conto della molteplicità di identità che emergono da questa collezione di cartoline, Cazzaniga deve necessariamente ripercorrere la trimillenaria storia dell’ebraismo, segnata periodicamente da episodi diasporici. Individua perciò tre poli: il primo è quello dell’impero persiano, dove già fra l’VIII e il VI secolo a.C. vi si ritrovano insediamenti ebraici, tanto che le accademie (yeshivòt) mesopotamiche costituiranno per più di mille anni il centro spirituale dell’ebraismo mondiale, da cui si dirameranno altre diaspore seguendo le vie della seta, fino all’India e alla Cina; un secondo polo è quello occidentale del califfato, con una presenza nei paesi mediterranei meridionali, Levante, Anatolia e Balcani, dove gli insediamenti ebraici (prima grecofoni, poi arabofoni, infine ispanofoni) datano almeno a partire dal III secolo a.C. (con più antiche presenze in Egitto, Nubia e successivamente anche in Etiopia); terzo e ultimo polo è quello europeo, prima pagano poi cristiano (con secoli di dominio islamico nei paesi iberici e balcanici), dove gli insediamenti ebraici risalgono sulle coste mediterranee già a partire dalla fine della repubblica romana (fra il II e il I secolo a.C.) e poi, dopo il XIV secolo, con un’espansione verso Oriente. 
La ricchezza e la diversità di queste lunghe vicende si ritrovano nelle cartoline che Cazzaniga mostra, privilegiando due aspetti: l’abbigliamento e gli ornamenti da un lato; le sinagoghe e i loro arredi dall’altro. Partiamo dall’abbigliamento, prendendo a esempio i samaritani: si tratta di una comunità ebraica che non ha conosciuto esilio e per questo sono molto integrati negli usi e nei costumi degli arabi. Come gli arabi si vestono; i laici parlano un arabo palestinese; hanno una Toràh scritta in ebraico con alfabeto samaritano di derivazione fenicia, quindi ancora più antica di quella masoretica, e rifiutano la tradizione orale accettando soltanto la scrittura. Oggi gli appartenenti a questa comunità, che pratica una rigida endogamia, sono soltanto 800 in Israele, concentrati in prevalenza a Kiryat Luza, un villaggio sul monte Gerizim, e nella città di Holon nel distretto di Tel Aviv, nonché poche altre decine nel mondo.
In pratica diversi in tutto e per tutto dagli ebrei chassidìm, ora tanto di moda grazie alle serie televisive Netflix Shtisel e Unorthodox. C’è la cartolina di una cerimonia nuziale in Polonia nei primi del Novecento, oppure quella che raffigura nonno e nipote che studiano la Toràh, immagine scattata a Gerusalemme nel 1921. Sono immagini dove i maschi portano tutti il cappello di pelliccia, un cilindro nero circondato da tredici strisce di zibellino o di martora (solo recentemente è stata introdotta la pelliccia sintetica), che in yiddish si chiama shtreimel, copricapo tipico degli ashkenaziti di Galizia, Polonia e Bielorussia.
Vi sono poi comunità ebraiche in Cina, dove arrivarono nell’antichità dalla Persia seguendo le vie della seta - si stabilirono a Kaifeng, nello Henan, dove nel 1163 costruirono una sinagoga arrivando a contare, intorno al ’500, alcune migliaia – oggi la comunità è composta soltanto da qualche centinaio di individui. 
Anche le sinagoghe testimoniano pluralità di identità: costruite nel mondo con gli stili più diversi, dall’orientaleggiante al neogotico, da quelli che mescolano neoclassico e art nouveau e orientalismo a quello bizantineggiante della grande sinagoga di Parigi. Non a caso Cazzaniga ricorda l’architetto Marco Treves (il quale prese parte ai progetti delle sinagoghe di Pisa, Firenze e Torino) quando nel 1872 scriveva: «Uno stile veramente "Giudaico" che io mi sappia non esiste. Anche il Tempio per eccellenza, quello di Salomone, aveva al suo dire degli Archeologi un carattere fra il Fenicio e l’Egiziano; ed è probabile che il secondo Tempio risentisse di questi due elementi con qualche principio dell’arte greca...».
Gli arredi delle sinagoghe sono invece più legati a specifiche identità ebraiche e sono ricercati e preziosi. Questo perché gli ebrei avevano tradizionalmente svolto alcune attività, talora egemoni, come la lavorazione dei metalli preziosi, l’oreficeria e la vetreria, e poi la tessitura, la tintura, il commercio dei tessuti.
Insomma, questo libro è una miniera di curiosità, informazioni, storie antiche e poco note anche in seno agli studi ebraici – del resto, ammonisce l’autore, le recenti storie sull’ebraismo risentono di un’ottica «giudeocristiana», ovvero la lettura dominante sulla sua identità è tutta interna a un mondo occidentale (cristiano, cattolico e riformato) dove ha minore rilevanza l’Europa orientale, dove però fino alla metà del Novecento ha vissuto la maggioranza mondiale degli ebrei e in cui è presente una tradizione di studi semitistici e biblici davvero autorevole, non sempre nota in Occidente. Del resto, questo si spiega col fatto che attualmente la popolazione mondiale di quattordici milioni e mezzo di ebrei è concentrata fra Stati Uniti e Israele, dove vivono in più di dodici milioni. 
Ma ha ragione Cazzaniga quando conclude che è venuto il momento di nuovi contributi per una storia mondiale delle comunità ebraiche che si sono formate nelle diaspore - e il suo libro va decisamente in questo senso. Anche perché è un paragrafo di quel capitolo di una storia che «dall’abbigliamento alla cucina, dalle sinagoghe agli arredi e oggetti rituali, dall’oreficeria alla musica sembra a noi ancora largamente da scrivere».