ItaliaOggi, 27 giugno 2020
Periscopio
Le stelle rosse accese sui più alti pinnacoli delle torri del Cremlino sono di rubino degli Urali e pesano cento chili. Alberto Ronchey, Il fattore R, conversazione con Pierluigi Battista. Rizzoli, 2004.Maurizio Gasparri era stato bollato a vita da una battuta di Daniele Luttazzi: «Ha la faccia di un cameriere a cui non hanno dato la mancia». Carlo Verdelli, Roma non perdona. Feltrinelli, 2019.
La pandemia ha sconvolto il mondo e ha fatto emergere l’orgoglio, il nostro bistrattato paese sta tenendo un comportamento eccezionale. Pippo Baudo, presentatore tv (Silvia Fumarola). la Repubblica.
Cito più spesso Moro che Berlinguer perché Berlinguer ha trovato eredi; magari maldestri, ma li ha trovati. L’eredità di Moro invece non l’ha rivendicata nessuno. Io non ho mai votato Dc, però ho avuto un padre democristiano. La Dc era il centro, non inteso come punto mediano di una retta, ma come punto centrale di una sfera. Moro aveva capito che la Dc poteva conservare la sua egemonia solo attraverso la mediazione, prima con i socialisti, poi con i comunisti. Dopo di lui si è tornati a uno schema orizzontale, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che ora non significa più molto. Beppe Sala, sindaco di Milano (Aldo Cazzullo). Corsera.
Per me bambino, Mussolini era il capo, il capo del Paese. Il duce indiscusso, era quello che ci comandava, che ci guidava e ci portava in Africa orientale, lo dovevamo rispettare e anche qualcosa di più, perché era il capo di tutti. Non era solo il capo del governo, ma il capo del Paese. Così era percepito nell’infanzia, almeno da me. Fabiano Fabiani, ex capo Rai e Finmeccanica (Walter Veltroni). la Repubblica.
Il presidente della Tod’s, Diego Della Valle, aveva proposto, nel pieno della pandemia, la chiusura delle Borse. Poteva essere una bella idea, se collettiva: alcune aziende già oggi valgono la metà. Gruppi stranieri comprano le azioni svalutate e finiranno per comprarsi il Paese. Renzo Rosso, il re del jeans (Michela Proietti). Corsera.
«Però ha riprovato a rientrare in politica. Nel 2008 si è avvicinato alla Destra di Francesco Storace di cui era magna pars Daniela Santanché», gli ricordo. «Me ne disgustai presto», replica, «perché Santanchèque (la chiama così per sottolineare l’abilità negli affari della deputata) mancò di parola. Giunto al partito, mi parlò malissimo di Berlusconi “bugiardo matricolato”. La cosa mi tranquillizzò, essendo un convinto antiberlusconiano di destra, e le dissi: “Puoi promettermi che mai la Destra si alleerà con il Cav?”. “Parola d’onore”, mi rispose. Qualche mese dopo, per interessi suoi, era già sulla strada di Arcore. Così, me ne andai». Tomaso Staiti di Cuddia, ex deputato del Msi (Giancarlo Perna). Libero.
Dostoevskij è stato forse il primo scrittore di cultura russa che rimette in discussione alcuni processi encefalici di cui erano assertori certi neurofisiologi. Ci dice che l’uomo non è una finestra aperta sul mondo. Delitto e castigo ma soprattutto Memorie del sottosuolo sono delle magnifiche riflessioni sul pensiero inconscio. Non è un caso che Nietzsche veda in lui il vero scopritore dell’inconscio. Freud gli darà nobiltà teorica. Silvano Tagliagambe, filosofo (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Il mondo dell’arte negli anni scorsi è stato molto omofobico. Ricordo i funerali di Gianni Colombo. C’era un gruppo di ragazzi che non avevamo mai visto: ai funerali scoprimmo che Gianni era omosessuale e non ce lo aveva mai detto. D’altra parte, in tanti anni di amicizia, lo stesso Lucio Dalla non mi ha mai parlato di questo. Tutti sapevamo, almeno negli ultimi anni, che aveva un compagno, ma lui ha sempre evitato l’argomento. Anzi, almeno molti anni fa, mi parlava solo di donne. Di quanto gli piacessero. Fulvio Caroli, storico dell’arte (Roberta Scorranese). Corsera.
La Var nel calcio è ridicola. Non sai mai se puoi esultare, devi sempre dosare le emozioni. Il fuorigioco è diventato geometria applicata al calcio. E quando l’arbitro commetteva degli errori era la cosa più appassionante nelle conversazioni, al pub e allo stadio. Nick Hornby, scrittore (Antonello Guerrera). la Repubblica.
In tutti i paesi la morte è una fine. Arriva e si chiudono le tende. In Spagna, no. In Spagna si aprono. Molte persone vivono tra le mura di casa fino al giorno in cui muoiono e vengono portate alla luce del sole. Un morto in Spagna è più vivo da morto che in qualsiasi altro luogo del mondo. Le facezie sulla morte e la sua contemplazione silenziosa sono famigliari agli spagnoli, un popolo di contemplatori della morte. Federico Garcìa Lorca in Marco Cicala, Eterna Spagna. Neri Pozza, 2017.
Un testimone oculare che era riuscito a fuggire faceva la descrizione di un campo di lavori forzati nella Russia settentrionale ove rabbini, socialisti, liberali, preti, sionisti e trozkisti scavavano in cerca d’oro, morivano di fame e di beri-beri. Isaac B. Singer, Nemici – Una storia d’amore. Longanesi, 1972.
Ho dato il cane Mimmo agli stilisti Dolce e Gabbana, che già avevano Rosa e Totò. Un giorno è venuto a trovarmi l’ex portavoce di Romano Prodi, Ricardo Franco Levi, oggi presidente dell’Associazione italiana editori, accompagnato dalla moglie Paola. La loro labrador era morta. Hanno messo gli occhi su Grace, 9 anni. Non volevo cedergliela, ma lei, ruffianissima, li ha conquistati gettandosi pancia all’aria ai loro piedi. Alla fine ho pensato che non dovevo essere egoista e gliel’ho consegnata. È mancata nel 2018. Sono venuti a prenderne un’altra, Verde, di 5 anni. Franco Barberi, allevatore di cani labrador (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Lasciò che Savina si calmasse un po’ e le ripetè i soliti elementi di speranza, cercando di essere convincente: i dispersi in Russia erano forse centomila («Vi ripeto: centomila uomini…») e non potevano essersi tutti volatilizzati. Molti dovevano «per forza» essere prigionieri, e a guerra finita i prigionieri tornano a casa. Ma perché – si chiedeva la donna – se era cosi, non scrivevano? E la solita ripetuta domanda: perché quelli fatti prigionieri in Africa scrivevano e perfino dall’America arrivavano notizie, mentre dalla Russia non scriveva nessuno? Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Ares, 1983 (33esima edizione).
Vittoria, quando mi sposò, capì che la mia era una bellezza interiore, ma non immaginava che mai sarebbe venuta alla luce. Roberto Gervaso. il Giornale.