Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 27 Sabato calendario

Orsi & tori


C’era una volta l’America. L’America dove su tutto prevaleva la democrazia, sia politica che economica; su tutto prevaleva la tolleranza razziale sia da una parte che dall’altra. Oggi, ha scritto nel suo editoriale il board di The Wall Street Journal, «L’America è in una fase giacobina». Un editoriale importante quanto preoccupante per l’intero mondo occidentale, che mi permetto di riprodurre in larga parte qui di seguito perché ci apra gli occhi a noi italiani ed europei e perché, per evitare il giacobinismo da una parte o dall’altra, di destra o di sinistra, dei bianchi o dei neri, suggerisca a politici e cittadini la moderazione e la capacità di convivere da parte di tutti. E questa non è una predica dal balcone di piazza S. Pietro. È un modesto contributo, grazie al nostro rapporto esclusivo con il più autorevole quotidiano economico del mondo, per capire, o per cercare di capire, che cosa produce l’estremismo di cui l’attuale presidente Donald Trump è un bel protagonista. Ma ecco le parole preoccupate e crude del WSJ.«L’America è in una fase giacobina.
Le epurazioni culturali nelle istituzioni americane stanno calpestando i valori liberali. È tempo che qualcuno reagisca, altrimenti la presidenza Trump sarà stata una passeggiata al confronto.
La rabbia per l’uccisione di George Floyd ha stimolato un’utile riflessione sulla razza e forse su qualche importante riforma della polizia. Ma le forze politiche e culturali si sono trasformate nelle ultime settimane in qualcosa di molto meno salutare: una feroce campagna di conformismo politico che ha travolto le istituzioni artistiche, educative, commerciali e di intrattenimento americane. Questa svolta culturale coercitiva minaccia di divorare ciò che resta della comunità civile americana e di spingere fuori dalla portata di tutti il progresso sociale durevole, riguardante razza e politica.
Lo descriviamo come un momento giacobino, perché ha il fervore e il giudizio indiscriminati della mente rivoluzionaria. La ghigliottina non è in uso, ma l’impulso di distruggere carriere, mezzi di sussistenza e reputazione è lo stesso. L’ondata di dimissioni, licenziamenti, rinnegamenti e scuse forzate presso istituzioni grandi e piccole si sta muovendo così velocemente che è difficile tenere il conto.
Questo mese i capi redattori del New York Times e del Philadelphia Inquirer hanno perso il posto di lavoro dopo una rivolta del personale, rispettivamente per l’editoriale di un esterno e per un titolo. Ora il direttore del Philadelphia Magazine, Tom McGrath, si è dimesso dopo che lo staff ha fatto richieste legate alla diversità etnica. I critici hanno indicato gli articoli che non piacevano loro dal 2013 e dal 2015.
Gli economisti sono stati spesso più resistenti all’ortodossia ideologica di altri intellettuali. Ora non più. L’economista dell’Università di Chicago, Harald Uhlig, ha perso il suo contratto con la Federal Reserve di Chicago dopo i tweet in cui sosteneva che il movimento Black Lives Matter «ha appena silurato se stesso, con il suo pieno supporto di #defundthepolice». Uhlig ha precisato di favorire le proposte di riforma più moderate del Partito Democratico. Il presidente della Fed di Chicago, Charles Evans, da 13 anni al timone, lo ha silurato senza fare un plissè.
Non contenti, gli economisti vogliono ora che Uhlig sia privato della direzione del Journal of Political Economy. Paul Krugman, economista e commentatore politico del New York Times, ha twittato che Uhlig è un «uomo bianco privilegiato» e ha messo in dubbio la sua «obiettività» nel dirigere la rivista. Justin Wolfers, dell’Università del Michigan, ha passato al setaccio i vecchi post del blog di Uhlig e ha dichiarato di essere indignato per il fatto che nel 2017 Uhlig abbia criticato la violenza di sinistra.
L’epurazione si sta facendo sentire in tutto il mondo accademico. Un docente è stato sospeso dalla business school dell’Ucla per un’e-mail in cui respingeva la richiesta di uno studente di fare regole diverse per gli esami finali degli studenti di colore. Un altro sta affrontando un’indagine dopo aver letto in classe la Lettera da una prigione di Birmingham di Martin Luther King Jr. Contiene la parola con la n, quindi i professori possono ora negare agli studenti un classico documento americano sull’opposizione morale all’ingiusto potere statale.
Al Mit, un cappellano è stato costretto a lasciare l’università per una e-mail in cui condannava la morte di George Floyd, ma sottolineando anche la sua fedina penale e ha scritto: «Molte persone sostengono che il razzismo sia il problema principale nelle forze di polizia. Non credo che sia sicuro».
Le purghe sono arrivate nei circoli di sinistra al di là dei media. David Shor, un analista della società di consulenza progressista Civis Analytics, è stato licenziato subito dopo aver twittato una ricerca di Princeton che metteva in discussione l’efficacia delle rivolte. La direttrice della Poetry Foundation si è dimessa questo mese dopo che una lettera aperta ha sostenuto che la sua dichiarazione di denuncia del razzismo sistemico era troppo vaga.
Nel mondo dello sport, i Sacramento Kings dell’Nba hanno tagliato i ponti con il presentatore Grant Napear dopo che gli era stato chiesto su Twitter il suo punto di vista sulla Black Lives Matter e lui aveva risposto che «Tutte le vite sono importanti...Ogni singola vita!!!». L’allenatore dell’Oklahoma State University ha dovuto scusarsi pubblicamente dopo essere stato fotografato durante una battuta di pesca indossando una maglietta con il logo di One America News, una rete pro-Trump.
Anche lo spettacolo è soggetto a nuove forme di regolamentazione dell’espressione artistica. La Hbo ha annunciato questo mese di aver temporaneamente cancellato dalla sua videoteca Via col vento, il classico romanzo della guerra civile trasformato in film. Le folle stanno abbattendo le statue dei generali confederati, ma a San Francisco hanno abbattuto anche quella di Junipero Serra, un missionario e santo cattolico del XVIII secolo, e anche i presidenti degli Stati Uniti sono bersagliati.
Le epurazioni raggiungono anche le scuole e i governi locali. Un preside del Vermont è stato rimosso dopo aver postato su Facebook: «Credo fermamente che Black Lives Matter (Blm), cioè le vite delle persone di colore siano importanti», ma «perché non vado in giro con un cartello Blm non significa che io sia razzista». Il sindaco della città di Healdsburg, nel Nord della California, si è dimesso dopo aver dubitato che in quella comunità fosse necessaria una riforma della polizia. Ha detto alla stampa locale che «la mia intenzione era quella di portare a termine il mio mandato, ma fondamentalmente a quale prezzo personale?».
Alcuni dei bersagli di queste campagne possono aver parlato o aver agito in modo maldestro, ma gli apologeti della cancellazione della cultura possono trovare motivi per stigmatizzare o bandire chiunque. Per alcuni, la distruzione di beni sociali come la libertà accademica e il pluralismo politico è solo un danno collaterale, se l’obiettivo è visto come giusto. Dubitiamo che la maggior parte degli americani sia d’accordo con questo approccio spietato e punitivo al cambiamento culturale, ma i rivoluzionari hanno ora il compito della vendetta.
Non si fermeranno da soli, perché la loro campagna è essenzialmente incentrata sul potere e sul controllo, e hanno bisogno di nuovi cattivi da denunciare. Ma mentre marciano sopra le istituzioni liberali, stanno anche mandando al macero i valori liberali della libertà di parola, del dibattito democratico e della tolleranza culturale.
Qualcuno deve fermare tutto ciò, e lo deve fare prima di tutto l’establishment liberale. I leader delle università, delle fondazioni, dei musei, dei media e delle corporation devono attingere alla loro rimanente autorità morale per far valere le ragioni di una società liberale. C’è il rischio che chiunque si esprima, per quanto in modo ragionevole, sia mobbizzato. Ma se uno o due prendono coraggio e iniziano, forse altri ne seguiranno l’esempio.
Lo spirito di comunità sociale in una società polarizzata non si ottiene con la coercizione e con azioni di lotta. Se i liberali non fermeranno la sinistra giacobina, sarà bene aspettarsi un contraccolpo politico e una frattura sociale che farà sembrare la presidenza di Donald Trump come un tea party.

Quali sono le cause e le colpe di una tale radicalizzazione che fa dire C’era una volta l’America. L’America che moltissimi hanno sognato per la sua democrazia, la sua generosità verso l’Europa e non solo, ma anche, contemporaneamente, un’America che aveva un solo credo, essere patrona e guardiana del mondo. Senza indulgere sulla guerra in Vietnam e in altre aree del mondo, in quel credito di dover comandare il mondo c’erano alcuni germi di quanto sta accadendo oggi. La caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica sono stati la prima spinta verso un’America diversa, perché il nemico era in larga parte scomparso.
Ma se queste sono le peculiarità dell’America più lontane nel tempo, ce ne sono di molto vicine che contaminano anche l’Europa e un’altra larga parte del mondo. L’America è stata per secoli la meta di chi andava a cercare un mondo migliore. Con Trump e il muro lungo il confine con il Messico, oltre a nuove leggi per l’immigrazione, gli Usa hanno dato un segnale agli altri Paesi e l’immigrazione è diventata un fenomeno da combattere.
Ma l’America è responsabile della dittatura degli Ott, da Google a Facebook, ad Amazon. Il Paese della democrazia economica si è dimenticato per gli Ott della legge antitrust e oggi in America hanno quasi più potere gli Ott del presidente Trump. Ma il problema è che gli Ott comandano anche nel resto del mondo e hanno cambiato le regole anche della democrazia politica. Come ha detto con sagacia Armen Sarkissian, il presidente della Repubblica dell’Armenia e della nazione armena, cioè dei vari milioni di armeni nel mondo, oggi qualsiasi politico non viene giudicato più al turno successivo delle elezioni, ma appena pochi secondi dopo che ha parlato e operato. E poiché le fake news hanno sorpassato sulla rete le notizie vere (calcolo del guru del data science, professor Mario Rasetti), è chiaro che qualsiasi politico, anche il più sobrio, finisce per mettersi ostentatamente in mostra con dirette Facebook, comparsate a Ciampino per farsi fotografare accanto alla rapita ritrovata, oppure comizi a torso nudo al Papeete. Negli Usa, Trump utilizza ugualmente i social ma poi è tentato di combatterli. Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, viene contestato dai propri collaboratori perché non si oppone alle bizzarre uscite del presidente Trump, dandogli voce.

Il risultato è il populismo, il capitalismo esasperato che vuole i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. In questo fertile terreno la morte indotta dalla polizia americana del nero George Perry Floyd scatena una reazione di cui è difficile vedere la fine. La polizia uccide anche in Francia, dopo aver fermato un automobilista che guidava con il telefonino.
Come la rivoluzione francese inventò la ghigliottina, anche perché in Francia attecchì il luddismo, che era nato in Inghilterra per l’introduzione dei telai meccanici che fecero perdere il lavoro ai cimatori, oggi la povertà crescente dei già poveri è, assieme al razzismo, la miscela esplosiva negli Usa. E i soffi sul fuoco di Trump alzano continuamente lo scontro. WSJ avvisa giustamente che il clima è giacobino e quindi si sta eccedendo dal lato opposto. Basta una parola impropria per perdere il posto. Hbo che aveva ritirato il film Via col vento lo ha potuto rimettere solo accompagnandolo con due filmati che lo collocano storicamente nel Sud degli schiavi.
Ovviamente il Covid ha dato il suo grande contributo nell’infiammare ulteriormente gli animi ma soprattutto ha messo a nudo che la cancellazione da parte di Trump del sistema sanitario introdotto da Barack Obama ha messo i poveri in condizione di non essere assistiti. E l’immagine delle sepolture in fosse comuni nell’isola davanti a Manhattan per chi non aveva i soldi per pagarsi un posto al cimitero è il segno più tremendo delle diseguaglianze americane.
Come colpisce in termini di paradosso che mentre questa è la situazione americana la borsa delle aziende tecnologiche, il Nasdaq, batte tutti i record. Per forza, gli Ott sono senza limiti alla crescita. Il Paese che per primo, alla fine dell’Ottocento, ha introdotto la legge antitrust negli ultimi 26 anni si era dimenticato della democrazia economica. Finalmente alcuni procuratori hanno deciso di avviare una seria indagine, ma nello stesso tempo Trump ha licenziato 300 giudici (in Usa sono di nomina politica) di tendenze democratiche, sostituendoli con giudici di destra. Altro fuoco sullo scontro sociale.
Si può dire, fra l’America e l’Europa c’è di mezzo l’oceano. Errore. La malattia che ha colpito profondamente l’America è un virus già presente in Europa e in particolare in Italia: populismo, crisi economica, immigrazione, discriminazione, povertà galoppante. Negli Usa per chi ha mente fredda e sentimenti umani c’è la speranza delle elezioni di novembre. Ma, come dice il WSJ, se il Partito Democratico non riesce a emarginare l’ala estrema, c’è il rischio di un presidente capace di far considerare Trump un moderato.