Corriere della Sera, 27 giugno 2020
Tra i braccianti arrivati a Saluzzo
SALUZZO (Cuneo) Nel parco di Villa Aliberti le mamme vanno di fretta. Attraversano il viale tirando i bimbi per mano, quasi sollevandoli, per scostarli da ogni cumulo di cartone, scatole, coperte, bottigliette di ogni genere, che incontrano. «Attento che ti infetti» ammonisce il proprio figlio una di loro, dando voce alla paura che ha preso tutti, compresa la brava e da sempre accogliente gente del posto, consapevole che l’economia del territorio gira anche e soprattutto grazie a quei fantasmi che si agitano sotto bivacchi resi poltiglia dalla pioggia di questi giorni.
Oggi più che mai è proibito usare la parola Mondragone, che evoca contagio e interventi militari. Ma a Saluzzo l’esercito c’è già da un bel pezzo. Così come i braccianti, arrivati all’inizio di giugno dal sud Italia e dalla Toscana, giovani originari del Gambia e del Senegal in cerca di occupazione. La raccolta dei mirtilli è solo l’inizio della stagione del raccolto. A partire dai primi di luglio, in quello che forse è il maggiore polo ortofrutticolo d’Italia, si comincerà con le pesche, per proseguire con i kiwi e chiudere a novembre con le mele, un giro di affari da 700 milioni di euro per tacere dell’indotto, e dodicimila stagionali che alla fine della primavera convergono qui ai piedi del Monviso.
Quest’anno è diverso. Quest’anno «vanno scongiurati gli assembramenti» ad ogni costo, per questione di salute pubblica. Davanti al Foro Boario ci sono gli alpini del II Reggimento di Cuneo, che si alternano con altri cento uomini, di Polizia, Finanza e Carabinieri, per presidiare le strade dove soggiornavano i migranti. «Ma è come svuotare il mare con un cucchiaino» dice un soldato. Tutto intorno al borgo medievale ci sono le valli, le frazioni, decine di cascine abbandonate. E in fondo nessuno ha voglia di dare la caccia a una manodopera senza la quale, addio al fatturato.
La raccolta dei mirtilli
Il dormitorio comunale è rimasto chiuso. Di notte si sta nel parco,
i cartoni come coperte
Si è parlato molto di Saluzzo nei mesi scorsi. Per due ragioni. La prima è che tutti cercavano qui l’italiano impoverito da Covid-19 che si adatta a fare lavori da immigrato, come la raccolta della frutta. Agli sportelli di Confagricoltura sono arrivate circa settecento richieste di regolari contratti da parte di nostri compatrioti, quasi tutti residenti in Piemonte. Il fenomeno esiste, anche se è stato sovrastimato, spiega Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti Piemonte. «Le quote di italiani sono ancora marginali, certamente non sufficienti a coprire per intero il bisogno di braccianti. E le nostre imprese non guardano certo al passaporto».
La seconda ragione è che le nuove misure contro la diffusione del contagio avrebbero dovuto imporre nuove regole per gli alloggi e anche condizioni di lavoro differenti. Tutti sapevano che sarebbe arrivata l’estate. C’era da pensare un nuovo piano di accoglienza, bisognava cercare nuove sistemazioni. E forse, nonostante la pandemia, c’era anche il tempo per farlo. Non è successo molto, a parte la scrittura di un protocollo generale e la nomina di un commissario per la questione sanitaria. Mancano i posti. Il dormitorio comunale è rimasto chiuso. I collettivi sociali che si occupano di aiutare i migranti lo consideravano un ghetto, ma ora sono costretti a chiederne la riapertura.
Mauro Calderoni, sindaco di Saluzzo, dice che questa è una faccenda troppo grande per un comune così piccolo. «Non è giusto che siano le amministrazioni locali a farsi carico di oneri e rischi sempre più alti, mentre chi per legge dovrebbe occuparsene come lo Stato e le Regioni, non prende misure di alcun genere». Ormai è tardi. Gli stagionali africani dormono sotto i portici, uno in fila all’altro. Ogni tanto passa una pattuglia e porta via le loro cose, mentre sono al lavoro nei campi.