(Consorzio Suonatori Indipendenti).
Vive da solo a Cerreto Alpi, un piccolo paese di 107 anime sull’Appennino tosco-emiliano. Ama cavalcare, ha fatto dischi, concerti, spettacoli equestri e scrive libri.
Come hai vissuto questo periodo?
«Male. Come tutti. Quando è arrivato il DPR (Decreto del Presidente della Repubblica) — e la parola a me, che ho sempre giocato con le sigle, fa molto ridere — che obbligava a chiudere la chiesa e il cimitero di un piccolo paese come Cerreto ho pensato che un mondo era finito. Per fortuna mi restavano gli altri due miei luoghi, la casa e la stalla. Nel momento in cui i due pilastri su cui questa terra è cresciuta, “ora et labora” - ovvero il lavoro e la liturgia, non la preghiera perché si può pregare ovunque - sono stati vietati per decreto, era evidente che eravamo di fronte a un cambiamento epocale».
Come usciamo da questo delirio?
«Questo delirio è ciò che ci aspetta, non ci si esce. Ci si adegua. Il mondo è irrimediabilmente cambiato e io credo che non ci sia niente da fare. Il livello profondamente negativo e mutante della globalizzazione sta arrivando e non ho parole consolatorie a riguardo».
Non è, al contrario, la fine della globalizzazione?
«Temo che non ci sia concesso di tornare indietro. Anzi la pandemia sta già portando un’incredibile accelerazione tecnologica anche se virtuale. Se pure si smette di viaggiare e la casa stessa diventa luogo di produzione e di consumo per cui l’individuo non ha bisogno di muoversi, non cambia nulla o quasi: quello che succede a Wuhan così come quello che succede a Collagna che è a cinque km da casa mia può essere comunicato in tempo reale in tutto il globo».
Non hai fatto concerti da casa in questo periodo come hanno fatto in molti: solo due video in cui esprimevi questi tuoi stati d’animo.
«La musica fatta in streaming è una cosa orribile, nessuno pagherebbe un biglietto per vedere una cosa del genere! Per non dire di questi che parlavano continuamente avendo sullo sfondo delle miserevoli librerie, dei quadrettini del c...: è come se l’intellighenzia avesse svelato il proprio privato. Sono piccole cose ma che in realtà sono molto grandi e ti portano a un’illuminazione.
Improvvisamente capisci e ti dici: “Ecco perché non ci siamo!”. E anche dal punto di vista tecnico, dopo averci magnificato le meraviglie della rete ecco immagini che si fermavano, collegamenti che cadevano, si vedeva male, si sentiva male. Una vera caduta tecnica ed estetica ancor prima che politica o scientifica».
Nel libro la burocratizzazione è vista come una piaga del vivere...
«Più di noi solo il Socialismo Reale».
La montagna non ha futuro?
«Sì. L’Italia di oggi vive sulle coste e in pianura non c’è più nessuno, gli ultimi negozi e ristoranti chiudono».
È per questo che in passato mi dicesti che guardavi con simpatia alla Lega?
«No, quel sentimento nasceva dal fatto che a un certo punto la Lega è diventata lo spauracchio di tutto quello che io detesto. Mi sono detto: “Se tutti li odiano io devo stare con loro!” (ride). Quello della politica però è un discorso davvero banale e dopo il Covid lo è ancora di più. Io sono sempre stato “estremista” o “alternativo” per usare delle parole degli anni 70 e per due o tre anni è stato bello andare al bar e votare tutti per la Lega e farci un sacco di risate».
Perché risate?
«Perché la Lega era lo spauracchio di tutto ciò che i montanari non sopportano e lo sostenevamo con piacere e un po’ di furfantaggine...».
Ma dal mojito in poi non più credo...
«Non è stata neanche una questione politica: sulle nostre montagne hanno governato gli stessi uomini da sempre: era asfissiante. Quando c’è stato qualcun altro lo hanno votato.
Poi con Salvini è finita come è finita».
Adesso è il momento di Giorgia Meloni, che conosci bene.
«Io ho una grandissima simpatia umana per la Meloni che mi ha già portato un sacco di disgrazie (ride).
La trovo una persona di grande intelligenza anche se è l’opposto di quello che sono io, per cui non mi stupisce la sua ascesa».
Tu nel tuo libro scrivi: “Del mio amore per Israele fatico a dar conto.
È irruente, mi infiamma, non sente ragione, non arretra di fronte a niente”. Ne hai mai parlato con lei?
«Io parlo sempre di Israele con i miei amici di destra (ride) perché devo sempre ribadire delle diversità di fondo che sono inconciliabili.
Ognuno di noi deve fare i salti mortali per difendere le proprie ragioni perché la condizione umana è più complessa di qualsiasi riduzione a uno spazio politico: se così non fosse sarebbe una gran triste cosa».
E l’America di Trump invece?
«Quando Trump ha vinto mi sono fatto una grande risata perché io la spocchia dei democratici americani proprio non la sopporto. Mi sono svegliato felice scoprendo che il sogno di vittoria di Hillary Clinton era crollato. E quello che l’ha fatto crollare è... un essere inqualificabile!
Io non so cosa pensare di Trump. Ma di sicuro per me una delle cose più sorprendenti è stato il voltafaccia de Il foglio in questi ultimi anni: Ferrara si è spaventato! Infatti ho smesso di leggerlo, oggi è insopportabile».
Cosa hai provato vedendo Papa Francesco officiare la Pasqua senza i fedeli e con pochi sacerdoti?
«Mi ha dato un senso di grande sconforto perché mancava il popolo di Dio che, attorno al Papa, è la curia.
Era inquietante. Quello che sta succedendo nella chiesa cattolica è fonte di molti problemi ma io non so cosa fare: i cattolici pregano per il Papa. Fine. Poi si può anche cambiare canale quando parla, non è essenziale essere d’accordo con ciò che dice. Non posso non notare che quasi tutti i miei amici non cattolici lo amano molto mentre quelli cattolici molto meno».
A proposito di popoli del libro: abbiamo parlato di Israele e di cattolici. E l’Islam?
«L’Islam è l’altro da noi. È una religione guerriera, se non vogliamo soccombere dobbiamo fare la nostra parte. Ma noi vogliamo soccombere».
Hai letto “Sottomissione” di Houllebecq?
«L’ho letto tre volte. È un libro serio, complesso, che ha mille facce».
Tu in passato hai avuto una grande fascinazione: cantavi “Punk Islam”.
«Fortissima. Anche perché la dimensione di Dio dell’Islam è molto forte. Per capire l’Islam bisogna attraversare il deserto. Noi viviamo in Italia che è l’esatto opposto del deserto: dal vuoto assoluto al pieno assoluto. Per essere musulmani in Italia bisogna tirarsi su le maniche e distruggere tutto. E per essere cristiani nel deserto bisogna, beh, bisogna allargare le oasi».
Anche se tu hai cantato l’“Emilia paranoica” proprio come se fosse un deserto: “Emilia di notti, dissolversi stupide sparire una ad una”. Mentre in un altro pezzo, “Morire”, parlavi della quotidianità della vita riassumendola in tre parole: “produci — consuma — crepa”.
Pensi ancora così?
«Era uno sguardo sulla realtà della pianura reggiana. E sì, mi dava la sensazione che la vita si riducesse a questo: produci, consuma e crepa.
Quando gli uomini perdono la dimensione spirituale e religiosa quello che resta è poco».