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 2020  giugno 27 Sabato calendario

Il viaggio segreto del Salvator Mundi

New York, Zurigo, Parigi, Riad. È la traiettoria segreta, che ora possiamo ricostruire, percorsa in due anni e mezzo dall’opera più costosa del mondo: il Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci. Nelle stanze del mercato dell’arte la chiamano “la saga”. Qualcuno, con la volontà di sminuire una vicenda che sminuire non si può, la declassa a “feuilleton”. Di certo, somiglia più a una spy story la scomparsa della tavola di noce dipinta (65 centimetri di altezza per 45 di larghezza), battuta all’asta da Christie’s, al Rockefeller Center, il 15 novembre 2017. Il martelletto del banditore Jussi Pylkkänen colpisce dopo 18 minuti e 47 secondi di rilanci sussurrati al telefono o negli skybox con i vetri oscurati, davanti alla folla stipata di star del lusso e del cinema. La gara tra gli ultimi due contendenti rimasti in gioco per l’acquisto termina a 450,3 milioni di dollari, diritti di vendita inclusi. È un record mondiale. Il duello decisivo si consuma tra un potenziale acquirente che rilancia due milioni per volta e l’altro, risultato poi vincitore, spregiudicato, pronto a rialzare la posta almeno di dieci milioni a giro. Forse in ballo non c’è solo il delirio collezionistico, ma la geopolitica. Perché l’arte è da sempre lo strumento che legittima e consolida la grandezza di un potere agli occhi del pianeta. I fatti che seguono daranno ragione a questa tesi. Quel 15 novembre 2017 va in scena l’inizio, più che la fine di una storia.
Miraggio ad Abu Dhabi
Le congetture sull’identità del nuovo possessore del dipinto si placano meno di un mese dopo la clamorosa vendita. Il 6 dicembre 2017 ecco il tweet: « Il Salvator Mundi sta per arrivare al Louvre di Abu Dhabi». Il neonato museo del deserto – figlio di un accordo tra gli Emirati Arabi e Parigi, che per 1,3 miliardi di dollari cede il marchio fino al 2037 – rivendica l’acquisto del quadro. Ma le cose non stanno esattamente così. Tempo 24 ore e il Wall Street Journal precisa che, secondo fonti dell’intelligence americana, il legittimo acquirente è il principe saudita Badr bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan Al Saud, partecipante all’asta di Christie’s per conto dell’erede al trono Mohammed bin Salman. E chissà se la sfida all’ultimo milione per aggiudicarsi l’opera simbolo non sia stata con i rivali del Qatar. Stando all’ambasciata saudita a Washington, Badr compra il dipinto per conto del Dipartimento di cultura e turismo dei cugini di Abu Dhabi. Il 27 giugno 2018 un nuovo tweet sembra confermarlo: il Louvre emiratino svelerà il “capolavoro” il 18 settembre seguente. Le locandine sono pronte. Di lì a poco più di due mesi, però, accade qualcosa che costringe gli Emirati a tornare sui propri passi. È il 3 settembre e la nuova puntata va online su Twitter: «Il Dipartimento di cultura e turismo di Abu Dhabi annuncia il rinvio dello svelamento del Salvator Mundi di Leonardo da Vinci. Ulteriori dettagli saranno annunciati presto». Quel “presto” diventerà mai. Tuttora il Louvre di Abu Dhabi rifiuta di spiegare le ragioni della mancata esposizione.


Da New York alla Svizzera
Ma il Salvator Mundi, intanto, dov’è finito? Da Christie’s non confermano apertamente, ma l’ultima rata di pagamento delle sei da oltre 58 milioni di dollari l’una sarebbe stata corrisposta il 14 maggio 2018. Alla fine di quel mese, il dipinto attribuito a Leonardo è ancora a New York, ma sta per prendere il volo. Dianne Dwyer Modestini, l’autrice del restauro, che meglio di tutti conosce il dipinto, conferma finalmente a Robinson: «L’ultima volta che l’ho visto era nella sede di Christie’s a New York, nel maggio 2018, quando il Salvator Mundi è stato impacchettato per la spedizione». La tavola cinquecentesca è ovviamente fragilissima e reagisce in maniera eccezionale ai cambiamenti di umidità. Viene per questo isolata in un microclima specifico. Prima dell’inizio dell’estate 2018, il dipinto lascia gli Stati Uniti diretto, con ogni probabilità, in Svizzera. «In un freeport di Zurigo», suggerisce ancora Modestini, che nel settembre dello stesso anno viene contattata da un restauratore svizzero interessato a conoscere le condizioni di conservazione del quadro. Lo scopo è quello di comporre una relazione per ragioni assicurative. I porti franchi sono zone di transito permanente, aree extraterritoriali esentasse dove vengono conservate le opere d’arte. La Svizzera conta almeno 245 depositi doganali di questo tipo. Secondo l’Economist, soltanto i freeport di Ginevra e di Zurigo nascondono beni di pregio, tra cui dipinti e sculture, del valore di 10 miliardi dollari. Uno di questi buchi neri del mercato dell’arte ha ospitato, almeno temporaneamente, il dipinto più costoso della storia dell’umanità.

Il Louvre mancato per un soffio
Arriva il 2019, anno del cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, il genio del Rinascimento italiano, che ha concluso la vita in Francia, alla corte del re Francesco I. Il Louvre di Parigi prepara la mostra che celebra l’artista come un eroe nazionale. Ancora prima dell’asta del 2017, il più grande museo del pianeta tratta per garantirsi il Salvator Mundi all’esposizione del secolo. La mediazione inizia con il possessore precedente, il magnate russo Dmitrij Rybolovlev, proprietario, tra gli altri, della squadra di calcio del Principato di Monaco. Prosegue con il ministro della cultura saudita, ovvero lo stesso principe Badr che avrebbe preso parte alla vendita da Christie’s per conto di Mohammed bin Salman. In mezzo, oltre al record e alla sparizione dell’opera, c’è anche un delitto. Il 2 ottobre 2018, Jamal Khashoggi, giornalista critico nei confronti di Mbs e dell’intervento del regno arabo in Yemen, entra nel consolato saudita a Istanbul per non uscirne mai più. Il cadavere viene fatto sparire. Le ricostruzioni macabre della vicenda si sprecano. E i media internazionali associano il delitto al principe saudita.
Nonostante l’attività diplomatica, all’apertura della mostra di Leonardo, il 24 ottobre 2019, il quadro non c’è. E non arriverà mai sotto la piramide di vetro. Anche se qualcuno fantastica che sia in viaggio sullo yacht The Sirene di proprietà di Mbs. «Le ragioni della mancata esposizione al Louvre sono politiche – sostiene oggi la restauratrice Modestini – I dubbi sull’attribuzione non c’entrano niente». Nel frattempo, infatti, c’è chi si sfila dal coro di studiosi che aveva salutato come un Leonardo autentico il quadro, consacrato dalla mostra alla National Gallery di Londra nel 2011. La documentazione certa sull’origine del dipinto manca. L’ultimo da Vinci, proveniente da una collezione inglese, affiora in una casa d’asta di New Orleans nel 2005, quando il gallerista Robert Simon con Alex Parish lo acquista per soli 1175 dollari: non è ancora un Leonardo. Il super restauro farà il miracolo. In pochissimi anni, le quotazioni lievitano, arrivando ai 127,5 milioni con cui il mercante Yves Bouvier cede il quadro a Rybolovlev nel 2013. Ma Martin Kemp, lo storico dell’arte britannico che per primo assegna il Salvator Mundi al genio di Vinci, ci suggerisce di cercare lontano dalla storia dell’arte le ragioni del mancato prestito al Louvre: «Posso solo fare congetture, però». Come tutti.


Misteriosa analisi a Parigi
Il punto è che – ormai possiamo sostenerlo con certezza – nei mesi precedenti all’evento del Louvre, il Leonardo d’Arabia si trova segretamente a Parigi. Dove viene sottoposto ad analisi radiografica dal C2RMF, il Centre de recherche et de restauration des musées de France, l’omologo del nostro Istituto centrale del restauro. Lo scopo è di preparare il terreno per il prestito. C’è in gioco un particolare non da poco: con quale didascalia il Louvre presenterà l’opera? In sede di mostra, il curatore Vincent Delieuvin spiega: «Abbiamo idee precise sul dipinto. Ma i curatori in Francia possono esprimersi su un’opera di collezione privata solo quando questa è in mostra. C’è bisogno di una pubblicazione scientifica solida » . La pubblicazione, in realtà, c’è e porta la firma anche dello stesso Delieuvin. Solo che il Louvre la ritira, quando è ormai certo che il quadro non farà parte dell’esposizione. Peccato, però, che qualcuno riesca a vederla lo stesso. «A me è capitato, per caso, di leggerla » , avverte la restauratrice Modestini, che a
Robinson conferma anche: «Sì, il Salvator Mundi è stato portato a Parigi per essere analizzato». Sul Lungosenna, ovviamente, le bocche restano cucite. Il saggio sparito dalla circolazione – Le Salvator Mundi – la cui copertina bianca è apparsa sul sito di The Art Newspaper, contiene proprio il risultato degli esami sull’opera eseguiti dal C2RMF parigino. Sembra che qualche copia, stampata da Editions Hazan, sia stata addirittura messa in vendita accidentalmente nel bookshop del Louvre. Nell’indagine, il Salvator Mundi viene accostato alla Sant’Anna e al San Giovanni del museo di Parigi. «Ma soprattutto viene assegnato a Leonardo da Vinci – precisa il gallerista americano Robert Simon – e la proprietà è indicata come ministero della Cultura del Regno dell’Arabia Saudita».


Un’assicurazione impossibile
Perché, allora, all’ultimo momento, i sauditi non hanno prestato il quadro dei record al Louvre? «Non c’è alcun romanzo misterioso. Banalmente non si è raggiunto un accordo sull’assicurazione dell’opera», afferma una fonte autorevole del mondo dell’arte che preferisce restare anonima, ma che lavora tra l’Europa, Riad e Abu Dhabi. « Il dipinto ha raggiunto un prezzo folle che rende impossibile la sua copertura assicurativa in un territorio lontano dalla sua sede di appartenenza. Assicurarlo a un valore inferiore ai 450 milioni di dollari significherebbe svalutarlo e mettere in discussione l’attribuzione a Leonardo. Il vero problema è di ordine tecnico- legislativo. Chi riceve la tavola in prestito rischia il crac per assicurarla alla cifra con cui è stata venduta da Christie’s. Per questo la prima mostra del Salvator Mundi non potrà che essere a Riad » . Insomma, il Salvator Mundi, diventato strumento di affermazione di potere, è finito in un vicolo cieco. L’intento dell’acquirente sarebbe stato quello di farne un trofeo da concedere “in affitto” ai musei del mondo occidentale. Ma il prezzo altissimo con cui “l’ultimo da Vinci” è stato acquistato ha reso impossibile l’operazione. Da solo il Cristo leonardesco vale il costo di un’intera mostra. «Mbs è caduto in un gioco più grande di lui, ma rivedremo il Salvator Mundi», sostengono i bene informati.


Leonardo d’Arabia
« Ho fiducia nel fatto che il ministero della Cultura saudita conosca bene i problemi dell’opera e sappia conservarla adeguatamente fino alla sua esposizione » , confida la restauratrice Modestini. Tutte le ultime tracce, ormai, portano a Riad. Il Salvator Mundi riapparirà in Arabia Saudita. Lo scorso 6 giugno il Wall Street Journal ha anticipato il programma decennale da 64 miliardi di dollari per sviluppare nel Paese un polo culturale e turistico che comprenderà almeno una dozzina di musei. Della nuova Museums Commission è a capo l’italiano Stefano Carboni. «L’Arabia Saudita sta cercando di utilizzare la cultura come soft power per mostrare al mondo un volto migliore del Paese » , chiarisce Georgina Adam, tra le esperte globali del mercato dell’arte. « Ha senso perciò inserire in questo contesto il dipinto più costoso del mondo, allestendolo in maniera scenografica, una volta che il museo a cui verrà destinato risulterà pronto. Gli occhi del pianeta saranno puntati sull’evento » . È chiaro che il Salvator Mundi giocherà un ruolo in questa partita, candidandosi a diventare un’icona di attrazione turistica nella penisola arabica. « Ma sembra evidente che esporre il dipinto non sia una priorità al momento», chiosa Modestini. Che sia o meno del maestro, conservarlo al buio di un deposito nel deserto contribuisce ad alimentarne il mito. New York, Zurigo, Parigi, Riad: è questo il viaggio dell’opera d’arte più costosa della storia. Del Leonardo diventato prigioniero invisibile dello scacchiere che decide il futuro di Oriente e Occidente.