Corriere della Sera, 26 giugno 2020
Biografia di Tedua
Raccontare la strada senza sconti. L’immaginario classico del rap fa parte delle canzoni di Tedua. Senza però le strizzatine d’occhio e la compiacenza di tanti altri che magari non hanno avuto una vita nemmeno troppo complicata. «Sono un rapper di strada, la strada per me è un concetto profondo, ma è anche ego, arroganza, abuso dei deboli, razzismo. Con chi faceva certe cose ci litigavo. Sono antifascista, per me la mafia è un cancro, non pippo cocaina. Sono saturo di ignoranza, basta», dice Tedua, vero nome Mario Molinari, due settimane al numero 1 con il mixtape «Vita vera – Aspettando la Divina Commedia», collaborazioni con Ghali, Rkomi, Capo Plaza, Ernia e Dargen D’Amico.
Cita Dante. La «Vita vera» al posto della «Vita Nova», le grafiche che richiamano le incisioni storiche di Dorè, le rime che citano qualche terzina. «Il concetto sarà chiaro con l’album, il terzo della mia carriera. Questo è uno spoiler per tenere alta l’attenzione del pubblico. Non sarà però una tesina su Dante: non ho la competenza culturale dei classicisti, sarà il mio racconto».
Il Sommo Poeta sarà la terza incarnazione del rapper, nei panni di DanTedua. «Amo metafore e allegorie: aiutano molto a dare una linea a tutto il progetto». Il Ryan del disco di debutto «Orange County California» prendeva dal Ryan Atwood della serie tv The O.C., ragazzo problematico adottato da una famiglia ricca. «Ho avuto la stessa storia: dai 17 ai 20 anni una famiglia borghese di Arenzano mi ha aiutato, mi ha reindirizzato nella società e mi ha fatto conoscere la cultura». Prima c’erano state l’abbandono del padre, mai conosciuto, il trasferimento da Genova a Milano, gli anni passati fra l’Oasi di San Francesco, la Casa del fanciullo e le famiglie affidatarie. Tutto raccontato in un video, con le immagini dei filmini di famiglia e la voce narrante di Luca Ward, che ha lanciato quest’ultimo progetto.
Dopo Ryan, nel 2018, era arrivato «Mowgli», ispirato dal Libro della giungla: «Mowgli era l’uomo che vuole tornare animale, il personaggio che si muove fra classe media e proletariato, fra street e mainstream. Con Dante affronterò il percorso all’interno della società borghese per analizzarne pregi e difetti, ipocrisie e contraddizioni. L’artista quando diventa famoso entra in contatto con i borghesi ma per non perdersi nella selva oscura e tornare a vedere le stelle deve rimanere se stesso, purezza e verità». Virgilio e Beatrice? «Il mio produttore Chris Nolan e tutte le donne della mia vita».
Elenchi di brand modaioli, bitch, nuvole di fumo ci sono, ma non esauriscono le sue rime. «Il mondo si divide fra superficiali e chi cerca il confronto. Il rap è spesso superficiale perché è lo specchio della società. È quella ad essere superficiale». «Sono cresciuto studiando la musica di Club Dogo e Dargen D’Amico e film come L’attimo fuggente o Will Hunting da cui ho imparato molto l’uso della parola: ero una spugna. Alle elementari e alle medie ho avuto supermaestri di italiano: nei temi prendevo 10. E nell’ultima famiglia affidataria c’erano una classicista e un ingegnere. La mia indole oratoria viene da lì». Cita Pasolini e Bukowski, ogni nei testi gli scappa qualche sgrammaticatura e ci ride sopra. «Sono sopravvalutato o sottovalutato. Non sono un wannabe Benigni come qualcuno dice. Lui ha studiato, io no. Io sono fumo e niente arrosto agli occhi di un vero intellettuale. Meglio però un finto intellettuale che uno stupido vero».