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 2020  giugno 26 Venerdì calendario

Marco Risi ricorda Vittorio Gassman

«Il mio primo ricordo di Vittorio Gassman», racconta Marco Risi, «è da bambino. Avevo undici anni ed era la mia prima volta sul set con mio padre. Vidi quest’uomo alto, con le spalle larghe, robusto, bello, che correva su una strada di Maccarese con Tognazzi accanto, vestito da fascista, e c’erano dei contadini che gli tiravano dei sassi di gommapiuma (il film era La marcia su Roma, ndr). Il secondo: avevo vent’anni, venne a casa nostra, da certi suoi sguardi si capiva che c’era qualcosa di diverso rispetto all’immagine sullo schermo, una timidezza nascosta, una fragilità dietro la bellezza che mi suscitava tenerezza e affetto». È stato l’inizio di un rapporto longevo, di un progetto per quello che doveva essere l’ultimo film del grande attore, scomparso il 29 giugno di vent’anni fa. Risi gli dedica molto spazio nel suo libro Forte respiro rapido - La mia vita con Dino Risi, «anche se», sospira, «ci vorrebbe papà per raccontare Vittorio e l’amore che avevano l’uno per l’altro».
Da che nasceva questo rapporto così forte?
«Dal fatto di aver perso entrambi il padre alla stessa età, verso i 14 anni. Non so se questa cosa è venuta fuori subito nel loro rapporto ma a un certo punto è diventato un elemento che li ha legati, capace di unirli nei sentimenti e nei silenzi. Ci sono belle foto in cui loro sono insieme, in silenzio, pensando a qualcosa».
In cosa erano diversi e in cosa simili?
«Si somigliavano molto, ma papà aveva una f orza che a Vittorio mancava, è sempre riuscito a scansarla, la depressione, mentre Vittorio ne è stato preda. Entrambi erano dotati di grande ironia, e di un senso cinico della vita, una maschera tipica di quella generazione, anche se sotto c’era la fragilità. Il cinismo apparteneva meno a Vittorio, ma era una forma di difesa. Conoscendo la loro sensibilità ci andavano cauti e sfoderavano un po’ di cinismo che li aiutava a sopravvivere a sentimentalismi pericolosissimi».
Capaci entrambi di formidabili battute, molte sono nel suo libro.
«Mi piace moltissimo quella che sfoderava Gassman, congedandosi da una cena, alla padrona di casa: "Ho passato una bellissima serata, ma non era questa". La signora dapprima reagiva contenta, poi realizzava e crollava o, se era spiritosa, replicava. Quella ricorrente di papà, quando avevamo gente a cena e a un certo punto si rompeva le scatole, citando uno zio: "Io, se fossi a casa vostra, andrei a casa mia"».
Gassman e suo padre hanno condiviso momenti di splendore ma anche momenti più difficili.
«Una sera Gassman a una cena di fine film, preso da chissà quale raptus di rabbia e forse in preda a qualche fumo alcolico, lo aggredì pesantemente, violentemente, davanti a tutti e mi confessò con una certa soddisfazione che aveva fatto piangere papà. Cosa alla quale io non credevo, perché non lo avevo mai visto piangere».
Hanno amato molto le donne.
«Ne hanno anche condivise, durante certi film, non so se consapevolmente ma credo anche di sì. C’era la gara a chi avrebbe conquistato per primo l’attrice di turno. Non sempre andava a buon fine. In tempi di MeToo non credo che se la sarebbero cavata facilmente, anche se la loro era una modalità scherzosa».