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 2020  giugno 26 Venerdì calendario

«La sterlina è una valuta da paese emergente»

Una valuta da Paese emergente. Debole, volatile. Questo sarebbe diventato la sterlina, secondo una ricerca della Bank of America, che ha fatto molto discutere a Londra. È così?
La diagnosi della Bank of America è impietosa. Dal 23 giugno 2016, dal giorno del referendum su Brexit – secondo Kamal Sharma – la valuta britannica è diventata «nevrotica nella migliore delle ipotesi, incomprensibile nella peggiore». Più vicina al peso messicano che alle monete dei paesi avanzati. Un’iperbole, certo, ma comunque inquietante.
Brexit pesa ancora. L’esito del referendum è stato accompagnato da una brusca caduta della sterlina, che in un mese ha perso, sul dollaro, il 10%, da 1,46 fino a 1,31, calo che in sei mesi è passato al 18% (1,20). Con due effetti importanti: una compressione dei salari reali e un aumentato appeal di tutti gli assets britannici, meno cari per gli stranieri. Le trattative con l’Unione europea avevano fatto ben sperare: la valuta britannica aveva guadagnato terreno, tornando fino a 1,43 ad aprile 2018. A agosto 2019, durante la fase politica più convulsa della storia recente della Gran Bretagna, il cambio è però tornato a 1,22 dollari e la successiva rimonta si è interrotta a dicembre 2019, in coincidenza con il voto che ha dato a Boris Johnson una maggioranza solida. Il 20 marzo 2020 – il giorno del lockdown – la sterlina ha poi toccato il minimo, a 1,15 dollari (e a 1,08 euro): il cambio ha perso il 5% in due giorni. Il successivo recupero è stato limitato.
L’indebolimento della valuta racconta molte cose. Le prospettive dell’economia britannica sono molto più incerte che altrove: cosa accadrà dopo Brexit, in quanto tempo si potrà davvero chiudere un nuovo accordo commerciale non solo con la Ue, ma con tutti i grandi partner commerciali resta una variabile imponderabile. La Gran Bretagna dovrà affrontare da “sola”, e in regime Wto, una buona parte della ripresa.
Il forte legame tra i passaggi cruciali di Brexit e l’andamento della sterlina rende un po’ difficile è argomentare che la valuta sia diventata «nevrotica», o «incomprensibile». Al di là della normale imprevedibilità del cambi – il lancio della monetina resta il metodo migliore per le previsioni, come spiegò anni fa il presidente della Fed Alan Greenspan – non sembra che la volatilità – effettiva, non implicita – della sterlina, il suo “nervosismo”, abbia raggiunto livelli parossistici. È sicuramente aumentata a marzo – per poi tornare a livelli più ragionevolii, ma è ben lontana dal raggiungere i livelli del 2008, che non fu semplicemente l’anno della grande recessione.
Fu il periodo in cui la sterlina mostrò di essere davvero – come alcuni analisi la chiamavano – un “super euro”. Pur restando al di fuori della zona dell’euro, la valuta britannica ne sentiva la forza di attrazione. Il legame – tecnicamente, la correlazione – superava l’80%, nei primi anni del secolo. Si è ridotta, restando però positiva, durante la Grande recessione, quando la volatilià dell’euro divenne altissima mentre quella della sterlina, pur aumentando, restò a livelli più bassi. Insomma la sterlina è sembrata enfatizzare i movimenti dell’euro durante le fasi “positive” e smorzarli durante quelli negativi.
È cambiato qualcosa, con Brexit? In realtà no, non molto: la valuta britannica è diventata più spesso protagonista, e in senso negativo, ma non si è sganciata mai davvero. La nota della Bank of America ricorda che resta una sorvegliata speciale, a causa di Brexit e della pandemia insieme: i tassi a cui gli investitori intendono acquistare e vendere pounds - spiega - restano più distanti che per altre monete, un segnale che richiede attenzione, ma la moneta sembra ancorata alla forza del suo sistema finanziario e a quella gravitazionale della Ue. Cosa accadrà quando Brexit sarà definitivo resta però molto incerto; e questa è, in realtà, la vera vulnerabilità della sterlina.