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 2020  giugno 25 Giovedì calendario

“La voce umana” ritrova le giuste note

Nel 1959 andò in scena all’Opéra Comique di Parigi, sotto la direzione di Georges Prêtre, un vero esperimento drammatico: La voix humaine, un lungo monologo per soprano di Francis Poulenc. L’Autore volle denominarlo, all’antica, Tragédie Lyrique. Il testo è di Jean Cocteau ed esordì nel 1930. Una grande novità drammaturgica è che tutto si svolge al telefono. La protagonista parla con l’uomo che, dopo una relazione di cinque anni, l’ha appena lasciata; il telefono nel teatro d’Opera appare per la prima volta in Intermezzo di Richard Strauss, rappresentato nel 1924. L’invenzione di Cocteau è diversa: il telefono, l’unico mezzo con il quale la sventurata comunica col mondo esterno, diviene un altro protagonista, o deuteragonista. Non sappiamo il nome della donna né udiamo la voce dell’ex amante; tutto il dialogo va desunto dal blaterare psicopatico di lei, tra continue scariche, interruzioni, sovrapporsi di altre voci.
Solo Cocteau avrebbe potuto immaginare un carattere così sciocco insieme ed egocentrico; la pazienza dell’uomo che l’ascolta dev’essere senza fine, giacché sarebbero bastati cinque minuti, non cinque anni, a decidere di troncare ogni rapporto con una donna simile. Fra estenuanti ripetizioni, ella tesse un filo di bugie; apprendiamo che dopo l’abbandono è trascorsa anche per un tentato suicidio. Alla fine, preceduta da strazianti “pedali” melodici dell’orchestra, ella si strangola col filo del telefono.
Il genio di Poulenc s’impadronisce del testo e lo sviluppa mostruosamente, senza per questo allungare la durata della rappresentazione, ché ella stride a una velocità superiore a quella di una conversazione parlata. Lo approfondisce in senso espressivo; gli stili di canto trascorrono dal declamato-recitativo a parti liriche, senza che in apparenza vi sia un nesso in questo eterno fluire di suppliche e lamenti. L’orchestra, particolarmente densa, ha da essere “sontuosa”, scrive egli. Poi la riassunse in una versione ove all’orchestra si sostituisce il pianoforte; era uno straordinario pianista, e la parte dello strumento è molto difficile. L’accompagnamento è fatto di traduzione figuralista del carattere di lei, di ironici contrappunti al suo disgraziato destino, di acri dissonanze a tradurre la sua petulanza. Questa versione è stata ora incisa da una veterana del nostro canto lirico, Daniela Mazzucato (Brilliant Records), accompagnata da un pianista bravo, colto e coraggioso, Marco Scolastra. Completa il disco un altro capolavoro del grande compositore: un Melologo, L’histoire de Babar. Qui il pianoforte è il destinatario autentico, mentre la voce recitante è del tenore Max-René Cosotti.