Il Sole 24 Ore, 25 giugno 2020
La guerra del teak
Un regolamento dell’Unione europea restrittivo ma generico e recepito con normative non omogenee dai diversi Stati membri, Italia compresa; e punti di vista non sempre coincidenti tra aziende e associazione di categoria. Sono questi gli elementi che hanno dato il via a una battaglia sull’importazione del teak birmano, il legno che serve a rendere unici yacht e barche a vela, simboli del made in Italy sul mare. Basti pensare che, come indica Fedecomlegno (l’associazione, aderente a Federlegnoarredo, che raggruppa commercianti e importatori di legnami), rispetto all’intero monte di esportazioni di teak dal Myanmar, ex Birmania, il 10% va all’Ue ma, di questo, ben il 60% arriva in Italia (il resto del totale va in India e Cina).
D’altro canto, il teak birmano, proveniente da foreste, è considerato il migliore al mondo, l’unico in grado di offrire il livello qualitativo richiesto dai cantieri navali italiani (e, in misura minore, da quelli olandesi e tedeschi, specializzati nella costruzione di gigayacht).
Ma proprio sulla provenienza del teak si accende la disputa. Perché dopo l’entrata in vigore del regolamento Ue 995/2010, nato per contrastare l’illegal logging (taglio indiscriminato delle foreste), agli importatori comunitari di legno e derivati è stato imposto l’obbligo di accertare a priori la legalità dei prodotti acquistati da Paesi terzi. Il regolamento, normalmente indicato come Eutr, prevede il divieto di importare legno prodotto in violazione delle norme vigenti nei Paesi esportatori e l’obbligo, per gli importatori, di attivare procedure di due diligence che consentano di determinare e mitigare il rischio connesso a queste importazioni. Tra i prodotti considerati a maggior rischio da Ue e autorità competenti, figura, manco a dirlo, il teak birmano (che si differenzia, per qualità, da quello di piantagione, oggi coltivato in Indonesia e in quasi tutte le zone tropicali). Questo è dovuto alle forti difficoltà che si riscontrano nel tracciare l’origine legale del prodotto, a causa della governance forestale carente e della corruzione che affligge il Myanmar.
Tuttavia, con grande sforzo, le aziende importatrici del prodotto continuano ad operare. Non senza qualche malumore anche verso Fedecomlegno, l’associazione di riferimento. «Nel momento in cui ci sono state delle verifiche da parte di Nepcon (ente di certificazione specializzato anche in timber regulation, ndr) – afferma Fabrizia Comisso, imprenditrice al vertice della società Comilegno – l’associazione non ci ha fornito in modo tempestivo le spiegazioni che attendevamo. E non ha avuto un sufficiente dialogo con gli importatori di teak dal Myanmar. Per questo, con un altre aziende, ci siamo riuniti in gruppo e abbiamo ingaggiata una consulente privata, esperta del settore: Viviana Cortesi».
Critiche a cui risponde Alessandro Calcaterra, presidente di Fedecomlegno: nel 2018, l’associazione ha «preso atto» che, l’Expert group Eutr dell’Ue e l’autorità competente italiana (cioè il ministero delle Politiche agricole e forestali), hanno «concluso che le informazioni fornite dalle autorità birmane sono insufficienti agli operatori per dimostrare l’origine del legno». E aggiunge che «a tutt’oggi il Governo del Myanmar resta reticente» sulla documentazione da mettere a disposizione degli operatori. «Prendiamo atto – prosegue Calcaterra – che alcune aziende italiane» hanno «continuato a importare dal Myanmar valutando trascurabile il rischio di comprare e immettere sul mercato europeo legno illegale».
La decisione, da parte di queste imprese, «di disattendere il consiglio della federazione – conclude – non fa in alcun modo venir meno il costante lavoro» che «auspichiamo possa, in un prossimo futuro, permettere la rivalutazione, da parte delle autorità europee e italiana, della posizione di diniego alle importazioni. Fino a tale momento, avendo come punto di riferimento imprescindibile l’assoluto rispetto della legalità, permane il nostro consiglio agli associati di astenersi dall’importare teak dal Myanmar».
La situazione però, secondo la Cortesi, consulente di otto imprese importatrici, può andare verso un miglioramento. «In Myanmar, negli ultimi due anni – afferma – sono stati fatti enormi passi avanti nella tracciabilità della catena di fornitura. A oggi, i fornitori birmani riescono a consegnare alle aziende importatrici molti più documenti inerenti alla catena, e il Governo birmano sta aprendo sempre di più il dialogo alla comunità europea e a gruppi di lavoro a sostegno delle analisi per soddisfare il regolamento 995/2010. Ad oggi sappiamo che il commercio illegale di teak avviene soprattutto con la Cina e non transita dal porto di Yangon, unica uscita legittima dal Myanmar per le esportazioni del teak».
C’è poi chi punta il dito sulla Ue: «Non credo – afferma Paolo Sodini, alla guida di International wood – che sia un problema degli organismi italiani. È la Ue che si sta occupando in maniera disomogenea della questione. Il punto è che non bisogna far scontare ai vari operatori, che rischiano sanzioni dai valori eccessivamente variabili, le conseguenze di un regolamento poco chiaro ed estremamente generico, che gli Stati adattano alle loro norme in maniera molto personalizzata».
Pietro Bellotti, al timone dell’azienda omonima, fornitrice di molti grandi gruppi della nautica, non ha dubbi: «Il 90% del mondo dei gigayacht, dei superyacht e della vela utilizza il teak birmano, che garantisce una durata nel tempo e un aspetto della coperta senza eguali. Certo le alternative esistono ma non si adattano al livello qualitativo della nautica di lusso made in Italy. Il mercato richiede quel prodotto e quindi non vedo il motivo di interrompere il commercio dal Myanmar, visto che non c’è alcun embargo. Abbiamo consulenti che ci aiutano e possiamo attenerci al regolamento Eutr. Mi sento sereno a continuare a importare, facendo i controlli prescritti e selezionando la catena di fornitura: abbiamo tenuto solo tre fornitori, rispetto ai sei o sette che avevamo in passato. Anche Fedecomlegno fa la sua parte e auspico un incontro tra associazione, aziende e Mipaf sul tema del teak birmano, per arrivare a importare con sempre maggior tranquillità dal Myanmar».
Un auspicio, quello di Bellotti, condiviso, conferma la Cortesi, da molte altre aziende del settore.