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 2020  giugno 25 Giovedì calendario

Npl, alle banche conto da 12 miliardi

L’impatto della pandemia sul tessuto economico italiano, e quindi sui prestiti bancari, inevitabilmente ci sarà e sarà massiccio. Ma per capire quanto l’onda d’urto farà male agli istituti servirà del tempo. Qualcuno, come l’Eba, lascia presagire conseguenze pesanti, soprattutto per chi oggi in Italia è meno attrezzato sul fronte del capitale. D’altra parte non è detto che, alla fine, la resilienza degli istituti domestici non si riveli superiore alle attese. Ad esserne convinti sono gli analisti di Equita Sim, che in un dettagliato report appena pubblicato mettono ai raggi X i conti delle banche italiane, provando a simulare gli effetti del lockdown prolungato sui prestiti erogati e quindi a cascata sul capitale. 
L’esito di questa proiezione è nel complesso confortante, sebbene non manchino le sfumature tra gli istituti: emerge una sostanziale capacità di tenuta del sistema bancario italiano, peraltro uscito rafforzato sotto il profilo patrimoniale dalla doppia tornata della crisi post Lehman del 2007-08 e della crisi del debito sovrano del 2011. I numeri dicono che a livello di sistema, secondo gli analisti, la pandemia potrebbe costare alle principali banche tricolori fino a 12 miliardi di coperture addizionali sui crediti, accantonamenti che eroderanno il capitale primario – misurato dal Cet 1 ratio – per circa 75 punti base. Le perdite maturate farebbero abbassare l’asticella media del Cet 1 del comparto dal 13,3% al 12,6% circa. Non poco, certo, ma se così fosse si tratterebbe di numeri tollerabili, soprattutto per banche più solide come Intesa, UniCredit, Mediobanca e Credem. Ben più cupa la lettura dell’Eba, che in uno studio sugli effetti del Covid-19 pubblicato qualche giorno fa ha ipotizzato un’erosione tripla del capitale, pari a 223 punti base nello scenario più ottimistico, lanciando così ombre lunghe sul comparto.
L’analisi Eba 
Il rapporto della Sim milanese come detto prende spunto dall’analisi preliminare sugli effetti della pandemia sulle banche europee pubblicata a fine maggio dall’Autorità bancaria europea. Nel suo approfondimento l’Authority basata a Parigi non offre, deliberatamente, alcuna indicazione dettagliata sugli impatti paese per paese, preferendo invece fornire invece solo una previsione macro a livello Ue in tre scenari tipo a partire da quello avverso dello stress test 2018. Da qua sono partiti gli analisti di Equita, guidati da Giovanni Razzoli, che hanno anzitutto cercato di calare le stime sul mercato italiano. Ne esce un quadro molto severo: se fosse vera l’assunzione dell’Eba di una diluizione del Cet1 di 233 punti nello scenario base (che salgono a 380 nello scenario più critico), le banche italiane vedrebbero il capitale eroso del 17%, per 22 miliardi, con una perdita che salirebbe a 37 miliardi (-29%) nell’ipotesi estrema. Di riflesso il Cet 1 ratio medio scenderebbe dall’attuale 13,3% all’11%, per atterrare a un allarmante 9,5% nell’ipotesi peggiore. Sempre secondo le stime Eba rielaborate da Equita, tutt le prime dieci banche italiane tranne Mps riuscirebbero a mantenere un buffer di sicurezza (maggiore dell’1%) rispetto ai minimi regolamentari Srep nell’ipotesi positiva. Ma se si manifestasse il peggiore degli scenari, solo Creval, Banca Popolare di Sondrio, Mediobanca, Credem e Intesa Sanpaolo conserverebbero un cuscinetto di sicurezza superiore all’1 per cento. A quel punto, qualora le politiche di ammorbidimento da parte della Bce iniziassero a invertire la rotta, per alcuni istituti scatterebbe l’allarme sul capitale.

Per Equita la crisi è gestibile
Ma è davvero questo il quadro più realistico? Secondo Equita no. L’Eba per ammissione esplicita non considera ad esempio i potenziali effetti benefici legati alle moratorie e alla garanzie, che di certo rallentano il processo di deterioramento del credito. Da qua il tentativo della Sim di incorporare il set di «indicazioni, input e feedback ricevuti durante questi mesi senza precedenti al fine di produrre la stima più accurata, affidabile e realistica degli effetti» dell’improvviso crollo del sistema, si legge nell’analisi. Lo studio è partito dall’assunto che, nell’incertezza sugli effetti da Coronavirus, la cosa più ragionevole è che ciò che «era traballante prima del Covid-19, cada a causa della crisi». L’attenzione in particolare si è concentrata sui «prestiti ad alto rischio», quelli che più realisticamente passeranno a default. Lo stock di prestiti che secondo Equita è in bilico è pari a 184 miliardi, ovvero il 13% del portafoglio prestiti, bacino che comprende i prestiti in bonis “forborne” (che evidenziano primi segnali di difficoltà), gli Unlikely to pay e i prestiti oggetto di moratoria. Ipotizzando che il 50% dei forborne diventi Utp, che ci sia un raddoppio del tasso di decadimento rispetto al 2019 (ovvero del passaggio da Utp a sofferenza) e che il 10% dei prestiti in moratoria diventi Utp, dalla crisi potrebbero dunque emergere per Equita 22 miliardi di crediti malati in più, con un Npe ratio che passerebbe dal 6,9% attuale all’8,4%. Da qua, la necessità come detto di 12 miliardi di accantonamenti extra, pari a 75 punti di Cet 1.

Che cosa dice il mercato
Si vedrà. Di certo dallo scoppio della pandemia, il mercato sembra aver fatto altri conti. E in peggio. Da fine febbraio le banche hanno perso circa il 35% della capitalizzazione (35 miliardi), tanto che il rapporto tra prezzi e patrimonio tangibile è sceso da 0,67x a 0,43x. Un calo che, sempre secondo Equita Sim, incorpora che gran parte dei “forborne” diventi Utp (almeno l’80% del totale); che più della metà dello stock di Utp (63%) diventi sofferenza e che un terzo (33%) dei prestiti oggetto di moratoria finisca tra le inadempienze probabili. Stime a dir poco cupe. Solo il tempo dirà chi ha ragione.