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 2020  giugno 24 Mercoledì calendario

In morte di Alfredo Biondi


Vecchia gloria della Prima Repubblica, un po’ meno della Seconda; grande avvocato penalista, modesto uomo di governo e sfortunatissimo leader del piccolo, ma turbolento e a suo modo pittoresco Partito liberale, dove regnò per pochi mesi prima di essere defenestrato. Alfredo Biondi, nato toscano e divenuto genovese, era comunque un personaggio molto umano e simpatico; e adesso che non c’è più tutto lascia pensare che sarebbe contento di essere ricordato così, buttando alle spalle molte battaglie e altrettante delusioni.
Per il grande pubblico resta purtroppo il ministro della Giustizia del “colpo di spugna” che il primo governo Berlusconi tentò di varare quasi di soppiatto nell’estate del 1994, approfittando delle vittorie della nazionale al Mundial, ma che dopo la sollevazione dei giudici di Milano, Di Pietro alla testa del “popolo dei fax”, venne bloccato dal presidente della Repubblica Scalfaro, rinnegato da Bossi e infine ignominiosamente ritirato facendo fare a Biondi la figura di un povero sprovveduto.
Non lo era, chiaramente, anche se a via Arenula, una volta bocciato Previti dal Quirinale, era finito come tappabuchi. Prodigo di elogi, il Cavaliere l’aveva del resto proclamato “il mio maestro”, definizione tanto vaga quanto utilmente lusinghiera. Insomma, un brutto periodo e un brutto ricordo, pure accentuato da insinuazioni – si ricorda il capo della Procura Borrelli: “In un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio...” – su pretese euforie alcoliche da parte del titolare della Giustizia. Il quale peraltro, colto e spiritoso com’era, si faceva forte ricordando Churchill che, accusato da un’avversaria di eccessiva passione per il brandy, rispose: “Sì, mi piace, ma lei è brutta mentre io domani sarò sobrio”.
Si viaggiava allora su altre quote rispetto agli odierni tweet. Ma non c’è nostalgia che possa alterare la memoria di un mondo più composto dentro il quale Biondi si muoveva comunque con allegra disinvoltura e talvolta anche con un certo anticonformismo, se non altro di linguaggio, quando gli saltava la mosca al naso. Accadde durante la corrida congressuale che l’ineffabile duo Altissimo-De Lorenzo scatenò ai suoi danni nel 1986, e compresa la mala parata non trovò di meglio che prendersela con i giornalisti chiamandoli fantasticamente “ciucciabirra” e “mangiatori di tramezzini”. Salvo poi farci pace perché oltre che di spirito, Biondi era un uomo di cuore e di mondo.
Due volte ministro negli anni ’80 con Craxi e Fanfani, a lungo vicepresidente della Camera, piccolo grande mattatore del buon vecchio Transatlantico, efficace e temerario imitatore di Pertini. Gli si debbono riconoscere doti di grande competenza e concretezza legislativa, oltre a una sensibilità che per via del suo lavoro di difensore nelle aule dei tribunali (la sua cliente più in vista Gisella Guerinoni, che l’impietosa cronaca di quel tempo designò come “la Mantide di Cairo Montenotte”) si esprimeva nel senso di un accentuato garantismo.
Ma si può dire che il grande pubblico della televisione lo conobbe meglio allorché, agli albori della politica spettacolo, sfidò i più imperiosi paludamenti istituzionali per esibirsi in prima serata come cantante, a “Cipria”, con una perfino decente versione de “L’Anniversario” di Aznavour.
Esploso il Pli e prima di aderire a Forza Italia, vagò come tanti sulla frammentata frontiera mobile del Nuovo. Quando Cossiga, uscito dal Colle, fondò un ormai dimenticato partitino, l’Udr, come emblematico e parecchio massonico dono augurale, Biondi gli consegnò una cazzuola. Ma ci voleva ben altro per cementare la Seconda Repubblica – e infatti siamo già nella Terza e non è che le cose ci sorridano troppo.