ItaliaOggi, 24 giugno 2020
Buttiamo giù anche Bismarck?
Buttiamo giù anche Bismarck? La colossale statua del cancelliere di ferro domina il porto di Amburgo, e getta lo sguardo su Sankt Pauli, quello che era un tempo il quartiere del peccato. Il Coronavirus ha costretto a chiudere anche la Herbertstrasse, la via delle donne in vetrina, che aveva resistito al moralismo nazista e agli anni di guerra. Difficile per i revisionisti della storia imbrattare il monumento alto quasi 35 metri, eretto nel 1906, otto anni dopo la morte del padre del Reich tedesco nato dopo la guerra contro la Francia nel 1870.
Ma i fondamentalisti hanno già colpito il busto di Bismarck nel parco di Altona, coprendolo di vernice rossa. Il cancelliere era un razzista e favorì le conquiste coloniali della Germania, ultima arrivata in Africa insieme con l’Italia. Per la verità, nel 1881, si batté contro il colonialismo. Prevedeva che alla lunga non avrebbe portato alcun vantaggio economico, sarebbe costato di più di quanto avrebbe mai potuto rendere. «Finché sarò io cancelliere non tenteremo alcuna avventura coloniale», promise. Ma dovette arrendersi alle pressioni politiche, e alle ambizioni del Kaiser: anche la Germania doveva avere «ein Platz an der Sonne», un posto al sole. In retorica tedeschi e italiani sono molto simili.
Nel 1884 indisse la Kongo Konferenz che doveva sancire la spartizione del Congo e della regione lungo il Niger. Si aprì il 15 novembre e si concluse il 26 febbraio. Parteciparono 14 nazioni, l’Italia fu invitata a assistere, non a prendere parte ai lavori, perché non aveva interessi in Africa Occidentale. Fu sancito il divieto assoluto della tratta degli schiavi, una dichiarazione simbolica. I confini delle colonie furono tracciati con la riga non tenendo conto delle popolazioni. I belgi continuarono a sfruttare gli africani come schiavi nelle piantagioni di caucciù.
Alla Germania toccò la Namibia, e i tedeschi compirono dal 1904 al 1906 una campagna sanguinosa contro gli Herero e i Naba, le vittime furono tra i 60 e gli 80 mila. Sopravvissero appena in 20 mila. Ma Bismarck era già scomparso nel 1898 a 83 anni. «Le sue mani non sono sporche di sangue», ha dichiarato lo storico Jürgen Zimmerer. Ovviamente non convince quanti vogliono cancellare la storia a picconate. Già nel 1967, i tedeschi tuttavia avevano riconosciuto le loro colpe e rimosso la statua del governatore coloniale Hermann von Wissmann.
Potrà resistere la statua di Bismarck? Di questo passo si salveranno solo i monumenti che mi stanno a cuore. La statua al Genio di Palermo, a Villa Giulia, dove imparai a camminare e andare in bicicletta. E il monumento al parallelo, il 45°, in Piazza Statuto a Torino, a due passi dal giornale dove cominciai come cronista. Ma ha la forma di obelisco, e i vandali potrebbero equivocare.
Bismarck era un guerrafondaio, come tutti nell’Europa del suo tempo, ma fu anche il primo a realizzare riforme sociali, dalla mutua alle pensioni. Non perché fosse buono. Da pragmatico riteneva che gli operai lavorassero meglio senza paura per il futuro, in caso di incidenti o malattie. E la tv pubblica sta per mandare in onda un documentario per i 125 anni del canale che unisce il Mare del Nord al Baltico. Il Kaiser Guglielmo I era contrario, ma il cancelliere riuscì a manipolarlo realizzando un’opera che ancor oggi è un volano per l’economia. Difficile da spiegare.
A Berlino, dopo la caduta del «muro», hanno fatto a pezzi la statua di Lenin in granito rosa. Marx e Engels, in bronzo, sono sopravvissuti, perché erano pensatori tedeschi. Qualcuno si limitò a scrivere sul basamento in vernice bianca: ?non è colpa nostra“. E un altro aggiunse: «Andrà meglio la prossima volta». Sempre che le loro statue non vengano prese a picconate. E corre un grave rischio anche la nostra ambasciata nella Hiroshima Strasse nel Tiergarten. Fu costruita da un allievo di Albert Speer, l’architetto amato da Hitler, ed è uno delle poche opere dell’éra nazista, insieme con lo stadio olimpico, sopravvissuta alle bombe.